Per una volta il problema non è Bruxelles, non sono le regole europee ma la capacità della manovra messa a punto dal Governo, anticipata venerdì dal Consiglio dei ministri per il capitolo fiscale e appena perfezionata con il via libera alla legge di Bilancio, di predisporre un set di misure effettivamente in grado di sostenere crescita e occupazione. Il provvedimento sarà trasmesso immediatamente alla Commissione europea nella versione del Documento programmatico di Bilancio ed entro venerdì approderà in Parlamento.
Bruxelles dirà la sua a novembre, ed è atteso il via libera alla nuova tranche di flessibilità chiesta dal Governo: circa 10 miliardi, a tanto ammonta lo spazio di manovra che si apre tra un deficit "tendenziale" per il 2018 dell'1% del Pil, e un deficit programmatico dell'1,6 per cento. Da un lato cioè il quadro a legislazione vigente, dall'altro il quadro programmatico comprensivo degli effetti delle misure appena varate dal Governo. In tal modo sarà possibile ridurre il deficit strutturale (il parametro che calcola il saldo di bilancio al netto delle variazioni del ciclo economico e delle una tantum) dallo 0,8% previsto dal Documento di economia e finanza dello scorso aprile allo 0,3 per cento. I nuovi saldi approvati dal Governo scontano la nuova flessibilità, anche se formalmente il disco verde da parte di Bruxelles vi sarà, salvo sorprese, appunto solo novembre.
Nel corso dell'ultimo vertice Ecofin a Lussemburgo, il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan ha confermato, in indiretta replica alle obiezioni espresse dai paesi più "rigoristi", che finora non è stata avanzata alcuna obiezione da parte della Commissione Ue. Dunque, tutto lascia supporre che non dovrebbero insorgere ostacoli, anche se la prudenza è d'obbligo. Se lo scoglio di Bruxelles non pare invalicabile, non altrettanto si può dire delle incognite che pesano sul prossimo iter parlamentare. La scommessa è provare a rafforzare il pacchetto di misure sulla crescita, tenendo fermo l'impianto complessivo della manovra, per non rischiare che intervangano modifiche sostanziali nel corso dell'esame da parte di Camera e Senato.
E' l'ultima sessione di bilancio della legislatura, le elezioni sono alle porte, e dunque emendamenti in chiave prettamente elettorale da parte delle forze politiche sono da mettere nel conto. Spetterà al Governo, e alla maggioranza che lo sostiene, farvi fronte e avanzare proposte alternative. Ogni proposta emendativa dovrà essere adeguatamente compensata attraverso le relative coperture, non essendovi spazio per ulteriori aumenti del deficit. Al momento, la manovra parte con il pesante fardello di 15,7 miliardi di clausole di salvaguardia da neutralizzare (l'aumento di Iva e accise in programma dal prossimo anno). Se si guarda alle cifre, dal 2015 in poi ammontano a oltre 30 miliardi gli spazi di manovra concessi da Bruxelles. Flessibilità che è stata utilizzata per disinnescare le vecchie clausole di salvaguardia introdotte nel 2015 a garanzia dei conti pubblici. La legge di Bilancio segue la stessa strada, fermo restando che il problema si riproporrà nel 2019 con altri 11,4 miliardi da reperire, e nel 2020 quando per evitare l'aumento dell'Iva occorrerà far fronte a ben 19,2 miliardi da neutralizzare.
Il resto delle misure contenute nel ddl di Bilancio serviranno a completare l'operazione sull'Iva, a finanziare le spese indifferibili (le missioni internazionali e la tranche per i contratti pubblici, con il pacchetto per la crescita che complessivamente non supera i 3,8 miliardi.
Ecco allora che in quadro di finanza pubblica che resta angusto, stante l'impegno ad avviare già da quest'anno la riduzione del debito, gli ulteriori margini di manovra che si renderanno disponibili nel corso del dibattito parlamentare dovrebbero essere diretti interamente a rafforzare le misure per la crescita. Al momento per gli sgravi contributivi diretti alle nuove assunzioni di giovani la dote di partenza non supera i 338 milioni.
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