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Banca d’Italia, perché è un’authority…

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L'Analisi|authority nazionali

Banca d’Italia, perché è un’authority “diversa”

Ci sono le istituzioni, con i loro statuti e le regole che ne definiscono ruoli, funzioni e livelli di autonomia. E poi ci sono gli uomini, che pro tempore le rappresentano. L’equilibrio sta tutto qui. E in questo binomio, uomini-istituzioni, si inscrivono i mille tentativi di disegnare e poi praticare l’indipendenza e l’autorevolezza delle istituzioni che un Paese è riuscito a darsi. Il massimo di indipendenza è probabilmente oggi rappresentato dalla Corte suprema degli Stati Uniti, i cui giudici sono nominati a vita dal presidente con il consenso del Senato.

Una volta anche il governatore della Banca d’Italia era nominato a vita, regola cancellata alla fine del 2005 dopo gli scandali finanziari emersi nell’estate di quell’anno, con il tentativo di difendere Antonveneta dalla scalata lanciata dall’olandese Abn Amro. Da allora la nomina ha una durata di sei anni, rinnovabile una sola volta e passa per un Dpr del presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentito il parere del Consiglio superiore della Banca. Il Parlamento non ha alcun ruolo in questo processo decisionale ed è per questo che la mozione del Pd votata martedì scorso contro Visco - con il parere favorevole del Governo - è stata interpretata come un vulnus. Lo si capisce anche senza andare a sfogliare lo Statuto del sistema europeo delle banche centrali (Sebc) e della Bce, di cui Bankitalia è parte integrante, e senza leggere l’articolo 7 che tutela l’indipendenza assoluta dei membri dei consigli direttivi di ogni banca centrale nazionale e della stessa Bce dal potere politico.

La differenza tra la Banca d’Italia e le altre autorità di controllo nazionali sta proprio in questa sua dimensione di componente di un sistema istituzionale europeo. Non è così per la Consob (l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato), l’Ivass o la Covip o l’Autorità per l’energia elettrica e il gas o ancora per l’Agcom, tanto per limitarci a un breve giro d’orizzonte sulle autorità intermedie con competenze in materia economica. Qui i criteri di nomina e i livelli di autonomia sono più graduati, in una scoscesa normativa che (forse) meriterebbe qualche armonizzazione.

“La differenza tra Bancad’Italia e altre autorità di controllo sta nella sua dimensione di componente di un sistema istituzionale europeo”

 

Anche il presidente della Consob è nominato con un decreto del presidente della Repubblica adottato dopo una deliberazione del Consiglio di ministri. Ma questa autorità che vigila sulla Borsa, istituita negli anni '70 (prima era una direzione del Tesoro a vigilare sui mercati) è stata testimone di ben maggiori permeabilità politiche. L’attuale presidente, Giuseppe Vegas, scade a fine anno, e la commissione dovrebbe essere composta da altri quattro membri. Ora sono invece tre e circola l’ipotesi di una prorogatio a tre dopo l’uscita del presidente, in attesa del nuovo governo. Si vedrà.

Il presidente dell’Agcm è nominato dai presidenti di Camera e Senato, mentre quello dell’Agcom (Garante comunicazioni) è scelto con un Dpr su proposta del presidente del Consiglio e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti. Anche per la nomina del presidente e del collegio dell’Autorità per l’energia si passa da un Dpr previo parere vincolante, a maggioranza dei 2/3, dei componenti delle commissioni parlamentari competenti, sui nomi proposti dal ministro dello Sviluppo economico e approvati dal Consiglio dei ministri. Per l’Ivass, che vigila sulle assicurazioni, regole ancora diverse: il presidente è il direttore generale della Banca d’Italia, mentre gli altri due consiglieri sono nominati con Dpr previa delibera del Consiglio dei ministri proposta del Governatore della Banca d'Italia e di concerto con il ministro dello Sviluppo economico.

L'elencazione potrebbe proseguire con tutti i distinguo del caso per caso. E per gli appassionati della materia si potrebbero anche aggiungere curiosità sulle durate eterogenee dei mandati: 6 anni in un caso e 7 in un altro, un mandato secco qui oppure uno rinnovabile altrove. Insomma un “non modello”, come direbbero i giuristi, frutto di una stratificazione normativa in cui la politica con facile gioco ha attivato le sue porte girevoli. Chissà che la vicenda di Bankitalia, una volta superata, non serva anche per provare a mettere ordine al sistema delle authority nazionali. Ci potrebbe provare la prossima legislatura. Ma la fiducia è poca.

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