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Nel 2018 ritorna la rivalutazione degli assegni

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Nel 2018 ritorna la rivalutazione degli assegni

Mentre a livello politico si dibatte sull’opportunità di rinviare l’innalzamento dei requisiti previdenziali previsto nel 2019, l’anno prossimo di certo ci sarà la parificazione dell’età minima necessaria per accedere alla pensione di vecchiaia. Indipendentemente dal settore in cui si lavora e dal sesso, in via generale serviranno almeno 66 anni e 7 mesi di età (fanno eccezione alcune specifiche categorie di lavoratori e i professionisti iscritti alle relative Casse di previdenza che possono individuare criteri diversi).

Si tratta dell’ultimo passaggio di un percorso avviato anni fa per parificare i requisiti tra uomini e donne, a seguito di una sentenza del 2008 della Corte di giustizia europea. A sentirne gli effetti saranno le lavoratrici dipendenti del settore privato che quest’anno raggiungono la pensione di vecchiaia a 65 anni e 7 mesi e le lavoratrici autonome a cui servono 66 anni e 1 mese. Alle dipendenti del settore pubblico e agli uomini di qualunque comparto già ora sono richiesti 66 anni e 7 mesi.

Nulla cambierà, invece, per la pensione anticipata, che gli uomini raggiungeranno ancora con 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno le donne) indipendentemente dall’età e per tutti gli altri parametri collegati alla speranza di vita (tra cui i coefficienti utilizzati per convertire il montante contributivo in assegno mensile).

L’altra variazione, questa volta positiva per i pensionati, è il quasi certo aumento dell’importo delle pensioni in pagamento, per effetto dell’adeguamento all’inflazione, dopo due anni di valori congelati.

Il tasso di rivalutazione provvisorio che sarà applicato da gennaio per il 2018 non è stato ancora comunicato ufficialmente. Tuttavia esso è costruito sulla base della variazione effettiva dell’indice Foi senza tabacchi rilevato dall’Istat nei primi nove mesi del 2017 più la previsione della variazione per l’ultimo trimestre dell’anno. Ebbene il valore nel periodo gennaio-settembre risulta pari a +1,3%, quindi quello sull’intero anno non dovrebbe variare di molto.

Si tratta di un ritorno a valori positivi dopo la variazione nulla applicata nel 2016 e 2017 (in realtà gli indici di riferimento registrati nel 2015 e nel 2016 sono stati -0,1% ma per legge gli importi delle pensioni non possono diminuire) e dopo un +0,2% riconosciuto nel 2015 e l’1,1% del 2014.

Gli importi degli assegni, però, potrebbero risentire positivamente degli effetti della decisione che la Corte costituzionale prenderà martedì in merito al blocco dell’adeguamento all’inflazione effettuato nel biennio 2012-2013 e poi riconosciuto parzialmente con il decreto legge 65/2015 a seguito della sentenza 70/2015 della stessa Corte.

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