Come era nelle attese al Senato arriva, annunciata dal ministro dei Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro, la questione di fiducia su cinque articoli della proposta di riforma elettorale, nello stesso testo approvato dalla Camera. Respinte invece per alzata di mano, dopo che il presidente Pietro Grasso aveva bocciato una richiesta di voto segreto, le questioni pregiudiziali presentate da M5S e Sinistra Italiana contro il Rosatellum. In Aula è bagarre. La decisione ufficializza la fuoriuscita di Mdp dalla maggioranza, con i capigruppo dei bersaniani saliti in serata al Quirinale per informare il Capo dello Stato della svolta che arriva dopo settimane di tensioni e continui distinguo con il governo Gentiloni.
Proteste nell’emiciclo
Nel corso della seduta, in segno di critica verso la scelta della fiducia, i senatori del gruppo pentastellato mettono delle bende bianche sugli occhi. «Vergogna vergogna», «questo Senato non esiste» tuona Loredana De Petris, capogruppo Si a Palazzo Madama, rivolta ai banchi del governo. Nello stesso momento da parte dei senatori di Mdp e Sinistra italiana vengono mostrati cartelli con su scritto «zero fiducia».
«Oggi Gentiloni è passato alla storia per aver battuto un triste primato: essere il primo presidente del Consiglio dall'Unità d'Italia a porre la fiducia sulla legge elettorale sia alla Camera sia al Senato», accusano i senatori di Articolo 1-Mdp Maria Cecilia Guerra, Federico Fornaro e Carlo Pegorer. «Nel 1923, infatti, Mussolini pose la fiducia su di un ordine del giorno e su di un emendamento della legge Acerbo; nel 1953 De Gasperi si limitò a chiederla al Senato sulla “legge truffa” nell'ultimo giorno utile della legislatura in presenza dell'ostruzionismo delle opposizioni; mentre nel 2015 il governo Renzi la mise solo nel passaggio dell'Italicum alla Camera. Una invasione di campo del governo in una materia parlamentare che non sarebbe stata concepibile in nessuna grande democrazia europea, per di più a pochi mesi da nuove elezioni».
Col no Mdp fuori dalla maggioranza
Non tardano a farsi vedere le conseguenze più politiche della linea seguita dall’esecutivo. «Noi votiamo contro queste fiducie e quindi come Mdp usciamo anche formalmente da questa maggioranza», spiega la presidente di Articolo 1-Mdp al Senato Cecilia Guerra lasciando la conferenza dei capigruppo convocata per mettere a punto il calendario dei lavori sulla legge elettorale.
La tabella di marcia, come indicato all'Assemblea dal presidente Pietro Grasso prevede, in particolare, alle 14 l'inizio della votazione della fiducia sull'articolo 1 (sistema elettorale per la Camera) e una “chiama” a ogni ora successiva, fino alle 17, per le votazioni relative agli articoli 2,3 e 4 (rispettivamente relativi al sistema elettorale per il Senato, alla delega al Governo per la determinazione dei collegi uninominali e plurinominali, e alle “elezioni trasparenti”). L'articolo 5 (clausola di invarianza finanziaria) verrà votato alle 18 con procedura ordinaria. L'Aula procederà successivamente alla quinta votazione di fiducia, relativa all'articolo 6 (norme transitorie ed entrata in vigore). Le dichiarazioni di voto finali sono fissate per giovedì a partire dall 9,30, con il via libera definitivo, inizialmente preannunciato per le 12, che dovrebbe arrivare intorno alle 11. Rispetto alla originaria definizione degli articoli, il testo all'esame del Senato ne conta uno in più, il quinto, frutto del coordinamento formale del testo curato dopo in occasione del via libera da parte della Camera.
Zanda: fiducie tecniche con 50 voti segreti strumentali
I cinque voti di fiducia chiesti al Senato per l'approvazione della riforma elettorale «sono un elemento tecnico, il voto finale non verrà fatto con la fiducia, quindi siamo all'interno dei regolamenti». È il capogruppo dem Luigi Zanda a far rilevare che le opposizioni contrarie al provvedimento avevano chiesto «quasi cinquanta voti segreti, per emendamenti a vari articoli» in maniera «strumentale, con l'obiettivo di modificare la legge». Non si trattava pertanto, secondo Zanda, di voti di coscienza ma di una «manovra politica». Con la legislatura che volge al termine e l'imminente avvio della discussione sulla legge di Bilancio «non si possono sovrapporre», per l’esponente democratico, i due provvedimenti.
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