«Non è possibile che i dirigenti contino così tanto. È l’assessore che ha la responsabilità politica e a lui spettano le decisioni». A parlare è un ex assessore regionale siciliano che pone una questione ben precisa: la riforma della legge regionale 10 del 2000 che aveva tra gli obiettivi accrescere l’efficienza dell’amministrazione regionale e razionalizzare il costo del lavoro pubblico. Come è andata a finire lo si è visto. Rimettere mano all’elefantiaco apparato pubblico siciliano è, comunque, per i candidati una priorità: chi più chi meno ne individua la patologia. Nei programmi dei candidati alla presidenza della Regione siciliana (noi abbiamo analizzato quelli di Fabrizio Micari, Claudio Fava, Nello Musumeci e Giancarlo Cancelleri ma i candidati, con Francesco La Rosa, sono cinque) il tema della burocrazia è ampiamente affrontato: in molti casi si parla di efficienza, snellimento, razionalizzazione; in qualche caso invece si affronta il tema della riqualificazione tenendo conto che da queste parti ormai da anni non viene fatto un concorso e che gli assunti arrivano spesso dal precariato. Un intervento radicale è ritenuto necessario anche per riuscire a dare risposte celeri alle imprese scoraggiate spesso dall’imbuto che si crea in alcuni assessorati.
È solo un punto di partenza. Quello siciliano è un sistema che ha necessità di essere modernizzato e di recuperare terreno per allinearsi a standard da regione evoluta d’Europa. In poche parole risalire la china per recuperare posizioni nella classifica degli indici di competitività elaborati dalla Commissione europea. La Sicilia è ultima, o quasi: al 237° posto fra le 263 regioni dell’Unione. Con indici parecchio bassi in fatto di infrastrutture, efficienza del mercato del lavoro, maturità tecnologica e infrastrutture, qualità delle istituzioni. E non va certo meglio sul fronte dell’istruzione superiore e formazione permanente.
Si vota anche su questo domani (dalle 8 alle 22), anzi soprattutto su questo perché risalire la classifica significa avere una regione meno ingessata capace, per esempio, di dare risposte ai bisogni dell’industria, recuperando il terreno perduto sul fronte della manifattura. È il momento delle scelte e non è un caso che sia scesa in campo anche la Cisl per disinnescare la mina astensionismo: si stima che almeno il 55% dei 4,6 milioni di siciliani aventi diritto al voto non si recheranno alle urne. Il sindacato ha lanciato un doppio appello: ai cittadini a partecipare e non rifugiarsi nell’astensione; al governo che verrà, a stipulare un patto con sindacati e imprese per pigiare il pedale sulla spesa dei fondi disponibili e su «un grande piano di opere infrastrutturali e riqualificazione del territorio». Non è il Piano Marshall di cui ha parlato nel suo comizio catanese Silvio Berlusconi ma certo qualcosa che molto si avvicina a quel concetto. Il Ponte sullo Stretto, di cui hanno parlato, con sfaccettature diverse sia Micari (centrosinistra) che Musumeci (centrodestra) è solo la punta dell’iceberg di un sistema infrastrutturale da sistemare: e su questo un po’ tutti sono d’accordo.
Intervenire sulla mobilità interna della regione, facilitare la mobilità verso l’esterno (con interventi sulle tariffe aeree di cui hanno parlato sia i grillini che il centrodestra) spingendo sul tema della continuità territoriale. Per aiutare i cittadini certo, ma anche un settore come quello turistico che ha conosciuto una crescita che stenta a diventare fenomeno strutturale. «Esistono le condizioni per fare del turismo un settore trainante dell’economia assieme all’agricoltura di qualità – dice Musumeci – ma abbiamo bisogno di destagionalizzare con una programmazione ampia, in grado di creare un circuito che coinvolga i soggetti privati e gli enti pubblici». E Cancelleri rilancia: «Abbiamo depositato un Ddl per il riordino del settore turistico. Prevediamo un contatto più diretto con istituzioni, operatori ed imprenditori del settore e il rilancio del brand Sicilia, con la creazione di un’unica cabina di regia». Per Fava «la Sicilia potrebbe attrarre importanti investimenti da fuori, ma sta a noi riuscire a facilitare l’arrivo di questi capitali. Senza una rete di trasporti degna di una regione europea è velleitario parlare di sviluppo del turismo». Per Micari, «il turismo in Sicilia – dice – non è soltanto il turismo balneare ma si estende agli ambiti agroalimentare, culturale, naturalistico, religioso e congressuale. Ciascuno di questi aspetti va valorizzato, con l’obiettivo di ottenere la destagionalizzazione delle presenze turistiche e il prolungamento del tempo medio di permanenza».
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