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Dossier | N. 51 articoliElezioni regionali siciliane 2017

Dalla “chimera” Ponte sullo stretto ai tanti cambi di casacca. Tutte le curiosità del voto siciliano

È stata lunga, per certi versi aspra, combattuta senza esclusione di colpi. Una campagna elettorale in Sicilia destinata a lasciare traccia nella storia dell'isola.  Vale la pena ripercorrerla provando a individuare quali sono le parole chiave di un dibattito politico, diciamo, appassionato. Anche perché la posta in gioco, come è ormai chiaro, non è solo il governo della Sicilia visto che il risultato elettorale siciliano peserà e non poco in vista delle elezioni politiche generali. Proviamo a ripercorrere questa campagna elettorale con alcune parole chiave: da alleanze a impresentabili, dacambi di casacca a Ponte sullo Stretto. Alcuni, forse non esaustivi, passaggi del dibattito pubblico. In ogni caso, rispetto al passato, toni e concetti destinati a cambiare anche la dialettica politica nella regione.

Alleanze
È la parola chiave della Sicilia che è stata e continua a essere laboratorio politico nazionale. Nulla di nuovo sotto il sole di questo autunno caldo quanto basta. Il laboratorio ripropone il quadro politico nazionale. Il centrodestra, per dire, si ricompatta attorno alla candidatura di Nello Musumeci che alla fine viene preferito a Gaetano Armao, l'avvocato che Silvio Berlusconi avrebbe voluto candidare alla presidenza della Regione. Forza Italia, Fratelli d'Italia, la Lega e l'Udc sulla carta marciano insieme con l'obiettivo di vincere ma i nodi non sono stati completamente sciolti: la campagna elettorale si chiude con comizi separati dei leader e con una cena notturna in cui, si dice, viene siglato il “patto dell'arancino” tra Berlusconi, Matteo Salvini, Giorgia Meloni. Si vedrà: per capire quanto sia solito e duraturo, per forza di cose, bisogna aspettare il verdetto delle urne.

Scartati i grillini, che vanno da soli, l'altro fronte è quello del centrosinistra e della sinistra-sinistra ovvero Mdp, comunisti vari e verdi. In questo caso la partita è completamente diversa: il Partito democratico ha deciso di candidare il rettore dell'Università di Palermo Fabrizio Micari tirato fuori dal cilindro dal sindaco del capoluogo siciliano Leoluca Orlando che assicura il suo massimo sostegno ma alla fine non riesce a mettere in piedi la sua “Lista dei territori”. Il Pd sceglie l'alleanza con Angelino Alfano e i suoi (quelli rimasti visto che in molti hanno saltato il fosso tornando alla corte di Berlusconi). E questa scelta provoca la spaccatura con la sinistra che invece candida Claudio Fava. La conta dei voti servirà a capire cosa succederà a partire dal 6 novembre: per il Pd, si dice, l'importante è non straperdere; per la coalizione che sostiene Fava l'importante è dimostrare che quell'area vale e pesa più dell'ormai micropartito di Angelino Alfano.

Cambi di casacca
Non è un fenomeno nuovo: già nel corso della precedente legislatura numerosi deputati avevano (anche più volte) cambiato gruppo parlamentare e appartenenza. Ma in campagna elettorale è scoppiato il caso, soprattutto per quella che è stata definita una vera e propria transumanza dal centrosinistra verso il centrodestra. Ci sono stati, certo, i cambi tecnici e la costituzione di nuovi gruppi all'Ars (L'Assemblea regionale) per evitare la raccolta di firme di alcune liste. Ma la gran parte dei cambi è stata di opportunità: scegliere la lista migliore, far aumentare le possibilità di elezione, salire magari sul carro di quello che si considera il vincitore. E per alcuni il vincitore è apparso quasi subito Nello Musumeci. Ha primeggiato sicuramente in questa corsa al “cambio di casacca” Alessandro Porto, consigliere comunale catanese che sembrava saldamente ancorato al centrosinistra: aveva persino stampato i manifesti con Micari presidente, ma d'un tratto lo si è ritrovato candidato con  Musumeci nelle liste di Forza Italia.

Impresentabili
Sul punto lo scontro è stato senza esclusione di colpi e non è bastato l'arrivo in Sicilia della commissione nazionale Antimafia per sgomberare il campo da dubbi e sospetti: il lavoro della commissione guidata da Rosy Bindi si concluderà, forse, dopo le elezioni. Nell'attesa gli schieramenti se le sono date di santa ragione. Il “momento più alto” di questo dibattito su questo tema lo si è raggiunto nel confronto televisivo organizzato da Lucia Annunziata su Rai 3: Musumeci, bersagliato da più parti sulla presenza di impresentabili nelle liste che lo sostengono, se n'è uscito con quella frase infelice: «Io ho saputo i nomi dei candidati nelle mie liste dai giornali». Per il resto, a parte qualche dichiarazione e qualche legame più o meno forte di qualche candidato con famiglie mafiose, di mafia si è parlato tutto sommato poco. Ne ha fatto un cavallo di battaglia certamente Claudio Fava che ha chiamato la sua lista “Centopassi” con un riferimento esplicito a Peppino Impastato, il militante comunista di Cinisi ammazzato dalla mafia. Sempre in tema di impresentabili l'ultima polemica ha coinvolto i Cinque Stelle: l'impresentabile è Gionata Ciappina, 43 anni, ex carabiniere, condannato dal Tribunale militare di Napoli a due mesi di reclusione il 20 maggio 2015, per violata consegna e abbandono di posto aggravato in concorso. Giancalo Cancelleri lo ha subito espulso dal movimento.  Così vanno le cose.

Ex presidenti
L'ultimo in carica, Rosario Crocetta, grande protagonista alla vigilia della campagna elettorale, lanciatissimo ricandidato alla presidenza della Regione ha poi dovuto fare più di un passo indietro su richiesta del leader del Pd Matteo Renzi ma in cambio di un posto sicuro al Senato alle prossime politiche. Ritirata la candidatura a governatore ha annunciato che si sarebbe presentato in almeno tre province, quelle più importanti ovviamente. Alla fine il suo nome è sparito completamente dalle liste: l'unica in cui lui compariva, a Messina, è stata esclusa e così la sua campagna elettorale è di fatto finita. Non se ne sono stati con le mani in mano due ex presidenti come Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. Il primo, che come è noto ha scontato una condanna per mafia e ha più volte dichiarato di non voler fare più politica, sin da subito, ha dichiarato che non avrebbe fatto campagna elettorale ma che avrebbe dato indicazione ai suoi amici di votare per i candidati tradizionalmente a lui vicini tra cui l'ex rettore di Palermo Roberto Lagalla. Del secondo, invece, le cronache raccontano di un impegno diretto a sostegno del senatore Giuseppe Compagnone.

Ponte sullo stretto
È la chimera che torna utile in molte occasioni, figurarsi in campagna elettorale. S'ha da fare, è la proposta, che accomuna destra e sinistra: ovviamente non subito, ma dopo aver sistemato le sbrindellate infrastrutture dell'isola.  Ha cominciato a parlarne Fabrizio Micari, che già da subito l'ha definita «è un'opera fondamentale e strategica. Il corridoio che porta in Europa passa attraverso la realizzazione del Ponte, che in quest'ottica diventa un'opera fondamentale e strategica». Ha chiuso Silvio Berlusconi che al Ponte ha dedicato parte dei suo discorso di chiusura della campagna elettorale alle Ciminiere di Catania: «Di Pietro ha buttato per aria quello che noi avevamo cercato a costruire, il ponte sullo stretto. È fondamentale la costruzione del Ponte. Il nostro impegno, tornando al governo, un impegno preciso, è riprendere il progetto del Ponte sullo Stretto».

Voto disgiunto
Questa è la grande incognita del voto siciliano. Nell'isola si può votare un candidato di una coalizione ma segnare il voto per il presidente di altro raggruppamento.  Secondo alcune ipotesi il voto disgiunto potrebbe essere determinante per l'elezione del presidente della Regione.  Lunedì vedremo. In ogni caso resta una certezza: chiunque vinca difficilmente avrà una maggioranza in Parlamento (l'Assemblea regionale siciliana si chiama così) . Così se l'autunno è stato caldo, l'inverno si annuncia caldissimo.

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