La regione più grande d'Italia per superficie . Ma anche la più distante dai centri decisionali. La Sicilia. Con problemi economici importanti. Dove lavora una persona su quattro compresi i sommersi. Su poco più di cinque milioni di abitanti appena un milione trecentotrentamila . Per avere lo stesso rapporto abitanti occupati dell'Emilia Romagna , un benchmark ambizioso, dovrebbe creare 900 mila un milione di posti di lavoro. Dalla quale ogni anno scappano 25mila persone formate con una perdita di 5 miliardi per la regione, più o meno lo stesso importo che attraverso i Fondi strutturali viene destinato all’isola dall’Unione europea. Con un reddito pro-capite che è la meta di quello centro settentrionale e più basso anche di quello della stessa Grecia, con una autonomia ampia invidiata da molte regioni a statuto ordinario.
Eppure la campagna elettorale che ormai si è chiusa venerdì, oggi è il giorno del voto, non si è incentrata sui temi economici. Anzi probabilmente ai quattro candidati alla presidenza, la vera dimensione del problema occupazionale che hanno da affrontare, non è nota.
Il tema sul quale ci si è concentrati è stato quello delle candidature degli impresentabili , che certo non è tema da poco , in una regione nella quale un presidente ha fatto cinque anni di Rebibbia per una condanna per mafia. Ed il successore è uscito da poco da procedimenti giudiziari per problemi analoghi.
Ma che dimostra come il tema che si dibatte ancora è quello del ristabilimento delle condizioni di Stato minimo. Le precondizioni di una democrazia che dovrebbe dare per scontato che gli eletti debbano essere la parte della classe dirigente più avvertita , colta e ovviamente onesta.
Negli oltre sessant'anni di autonomia , fallita visti i risultati, si è dimostrato un assunto che vale per tutta l'Italia, cioè che l'autonomia è uno strumento eccezionale per le realtà a sviluppo compiuto, per le quali il governo centrale è più lento rispetto alle esigenze dei territori, ma è uno strumento pericoloso per le realtà a sviluppo ritardato dove invece il centralismo avvertito, che in Italia certamente non ha ben lavorato, può dare quell'impulso al cambiamento che altrimenti ha bisogno di tempi lunghissimi per attuarsi.
Ma le regioni meridionali, che contano molto poco nella produzione della ricchezza nazionale, hanno invece una importanza elettorale non indifferente e se la problematica del loro sviluppo socio-economico non viene affrontata nel modo adeguato possono trascinare tutto il Paese in derive populiste difficilmente controllabili.
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