È passata come una tempesta. Ha lasciato una pesante eredità sociale. Ma la crisi economica che ha devastato l’Italia non ha causato solo disastri: ha anche avviato una salutare ristrutturazione del sistema imprenditoriale italiano. Oggi le aziende made in Italy hanno ancora molte vulnerabilità, certo, ma sono in media più forti rispetto al periodo pre-crisi: sono meno indebitate, meno dipendenti dal canale bancario, hanno aumentato i ricavi e hanno migliorato la qualità dei prodotti. Questo non significa che abbiano risolto i loro problemi, tutt’altro. Di strada da percorrere ne resta tanta. Vuol dire però che la crisi ha, in media, fortificato il sistema industriale italiano. Il motivo principale è legato al fatto che - come in una selezione darwiniana - le imprese più deboli sono uscite dal mercato. Questo ha aumentato la disoccupazione, ma ha anche posto le basi per permettere alle aziende sopravvissute di guidare l’Italia fuori dalle sacche della crisi.
Sono i dati, che Il Sole 24 Ore ha incrociato da varie fonti, a dimostrarlo. Partiamo dal giro d’affari. Calcola Prometeia che i ricavi delle imprese italiane sono scesi dell’11% dal 2007. Attenzione però: questo dato, che testimonia la portata dalla crisi, include tutte le imprese. Anche quelle fallite e uscite dal mercato. Se queste vengono invece escluse dal campione, si scopre che le aziende sopravvissute (escluse quelle micro) hanno in realtà aumentato i ricavi del 18% rispetto al 2007. Insomma: chi ha superato la recessione, è riuscito in media a crescere. Per dirla in altre parole: il sistema produttivo esistente oggi ha imprese più strutturate, a fronte di una selezione avvenuta soprattutto su quelle micro.
Anche perché le imprese hanno puntato sulla qualità dei prodotti. Una ricerca effettuata dal professor Marco Fortis con la Fondazione Edison lo dimostra. Analizzando 5.117 prodotti provenienti da 180 Paesi al mondo, emerge che 844 prodotti italiani sono sul podio della qualità. Cioè al primo, secondo o terzo posto mondiale. Tradotto: quasi un prodotto su 5 di alta qualità a livello globale è made in Italy. Questo protegge almeno in parte l’Italia dalla concorrenza «low cost» cinese, ma anche da eventuali futuri rincari dell’euro: molti economisti sono infatti convinti che oggi il made in Italy (grazie anche alla qualità dei prodotti) sarebbe più in grado di resistere a un rincaro della valuta rispetto a qualche anno fa.
Qualche timido miglioramento si inizia a vedere anche sui due nodi atavici delle aziende italiane: sottocapitalizzazione e dipendenza dal sistema bancario. La leva finanziaria delle imprese - certifica Bankitalia - è calata da circa il 50% di fine 2011 (data in cui è scoppiata la crisi italiana) a poco più del 40% di fine 2016. Tornando sui livelli del 2008. E la posizione finanziaria netta, che nel 2008 era negativa per un ammontare pari al 2% del Pil, ora è positiva per oltre due punti. Anche sul fronte della dipendenza bancaria i passi avanti ci sono stati: nel 2007 solo il 6% dei debiti finanziari era sotto forma di obbligazioni (il resto era debito bancario), mentre ora la quota è raddoppiata al 12% circa. Merito della nascita di strumenti nuovi, come minibond e Pir. Ovvio che si tratta solo di un piccolo passo, non risolutivo. Ma una cosa è certa: oggi possiamo dire che in media l’Italia è un po’ meno bancocentrica. E questo è positivo, perché rende le imprese italiane un po’ meno esposte a crisi bancarie.
Il merito principale di questo miglioramento medio è - come detto - legato all’uscita dal sistema delle aziende più deboli: questo ha, anche solo per un motivo matematico, alzato la media italiana. Le tante aziende fallite hanno contribuito a peggiorare i dati degli anni passati, ma ora non più. Anche perché ormai i fallimenti sono tornati - secondo l’Osservatorio di Cerved - su livelli fisiologici. Tra gennaio e giugno 2017 sono infatti fallite 6.284 aziende italiane: si tratta del 15,6% in meno rispetto allo stesso periodo del 2016 e di un dato in linea con quelli osservati nello stesso periodo tra il 2001 e il 2006. Siamo insomma, su questo fronte, usciti dall’emergenza.
Ma il rafforzamento del sistema imprenditoriale non è solo dovuto a un motivo matematico legato all’uscita dal mercato delle aziende deboli. Anche quelle sopravvissute hanno fatto la loro parte: hanno tagliato i costi, puntato sull’innovazione e sulla qualità dei loro prodotti. Ovviamente questo non elimina i problemi delle aziende italiane, che restano sottocapitalizzate, troppo dipendenti dalle banche, con una bassa cultura finanziaria e con cambio generazionale da gestire. E non cancella i costi sociali (disoccupazione, stipendi tagliati e così via) che la ristrutturazione imposta dalla congiuntura ha comportato. Ma almeno questi numeri, pur con tutti i distinguo del caso, rappresentano una base per la ripartenza dell’Italia. Per farci pensare che la grande crisi non sia passata invano.
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