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Il debole argine populista tra sinistra divisa e Berlusconi alleato dei…

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L'Analisi|l’analisi

Il debole argine populista tra sinistra divisa e Berlusconi alleato dei sovranisti

Se c’è uno slogan che ha dominato in questa campagna elettorale siciliana, ma che è stato declinato anche in chiave nazionale, è quello di Renzi e Berlusconi di voler essere un «argine ai populismi». Lo spirito moderato che aleggia sia da una parte che dall’altra, si è ritrovato in questa funzione catartica, di purificare la scena politica ridimensionando quelli che per il Cavaliere «sono giustizialisti e incapaci», votati da «chi non ha testa». E lo stesso messaggio è arrivato da Renzi che ha additato l’incapacità di governare dei 5 Stelle, bersaglio polemico condiviso con il leader di Forza Italia, anche lui auto-assegnandosi il compito di fermare l’onda, quella che governa male a Roma, quella che vive e si alimenta di piazza ma ha paura e fugge dai confronti tv (il duello su la7 è stato infatti annullato da Di Maio).

Il paradosso è che i due alfieri di questa battaglia hanno mancato nel loro obiettivo con due strategie opposte. Il leader Pd non curandosi delle divisioni a sinistra, anzi talvolta esasperandole, e Berlusconi invece unendo la destra nonostante i toni populisti dei suoi alleati. E così quell’argine si è rivelato debole. Perché la vittoria morale dei 5 Stelle è incontestabile essendo il primo partito dell’isola, anche se Cancelleri è stato battuto da Musumeci, anche se le attese di Grillo erano ben superiori, anche se i voti rispetto alle precedenti tornate sono diminuiti e se il candidato Governatore ha beneficiato del voto disgiunto. E dunque Berlusconi che ieri rivendicava la vittoria dei «moderati» lo faceva per tenere il “suo” punto politico che in realtà è smentito dai fatti. Innanzitutto ha dovuto accettare una candidatura di destra che lui non voleva ma che ha dovuto subire pur di non essere emarginato dall’aggressione – anche anagrafica - di Meloni-Salvini. Ma soprattutto c’è una contraddizione evidente nella sua linea: perché non si fa da argine ai populismi facendo un cartello elettorale con i sovranisti.

E lo stesso è successo dalle parti del Pd. Renzi ha pensato di poter combattere le forze populiste, anche quelle di destra, presentando una sinistra divisa, in grande difficoltà nel creare alleanze e quindi poco credibile nel contrastare partiti che sono in avanzata costante (non solo in Italia), seppure tra mille inciampi. Ma l’errore più grande è stato nel pensare di poter vincere da una posizione anti-governativa: il fraintendimento sta lì, nell’idea che con i populismi si compete dalla stessa parte della barricata e non dalla parte opposta, imponendo nel Paese un’agenda filo-governativa, filo-europeista facendo del Pd una forza politica rassicurante e non in perenne conflitto.

Non è chiaro fin dove si spingerà il partito nel “processo” al suo leader. Quel che è inevitabile è rispondere alla domanda se davvero si voglia fare - come ha cominciato a fare Renzi - una campagna elettorale con un Pd più di lotta che di Governo. Non c’è solo il tema delle alleanze e dell’apertura a sinistra che pure ha la sua rilevanza. Ma con quale messaggio ci si presenta agli elettori: se parlando al Paese con una cultura di governo e con una classe politica di competenti partendo dai risultati di Gentiloni-Minniti-Calenda oppure tornando ai toni del “cambiamento” che furono di Bersani nel 2013.

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