Se export e internazionalizzazione sono da considerare ingredienti chiave per la crescita delle Pmi, gli strumenti digitali possono rappresentare, se usati bene, la vera chiave di volta. Una pietra filosofale in grado di trasformare in oro la forza della manifattura di qualità messa a disposizione di un palcoscenico globale.
Gli elementi per far fare il salto di qualità al tessuto delle Pmi italiane ci sono tutti. Per la consapevolezza dei vantaggi ancora c’è da lavorare. Ma la spina dorsale del sistema produttivo italiano – il 95,3% delle imprese ha un numero inferiore ai 10 addetti – ha nel mix di nuovi strumenti e nuovi mercati un impareggiabile corroborante per irrobustirsi. «Le piccole imprese – aggiunge Marco Grossi, senior manager Facebook Italia – sono la spina dorsale della nostra economia, portando crescita economica e lavoro. L’87% degli italiani presenti su Facebook ha almeno una connessione con una Pmi italiana e 143 milioni di persone nel mondo sono connesse con un’azienda in Italia tramite Facebook, quindi possiamo affermare che grazie all’utilizzo di Facebook e Instagram le imprese hanno effettivamente la possibilità di incrementare la propria crescita e lo sviluppo internazionale».
Se ne è parlato ieri, analizzando la questione sotto una molteplicità di aspetti, durante il Future of Business Summit 2017, organizzato da Facebook in collaborazione con Censis e wwWorkers. Si tratta del secondo appuntamento, dopo la prima tappa di Bruxelles dello scorso giugno. L’evento nasce dalla collaborazione con Ocse e Banca Mondiale, con le quali è stato creato un sondaggio mensile su piccole e medie imprese che sono su Facebook. «La Future of Business Survey – commenta Laura Bononcini, head of public policy Facebook Italia – può essere un valido strumento per informare i policymaker sull’attuale situazione economica e sulle priorità espresse dalle aziende nonché per sostenere il dibattito sul tema. Non è sempre facile interpretare l’impatto che il digitale ha avuto sull’economia moderna. Per esempio, si è spesso convinti che la tecnologia sia dannosa per alcune tipologie di professioni e siamo portati a sottostimare la capacità dell’innovazione tecnologica di creare nuove e imprevedibili opportunità di crescita». Pensando a Facebook, per esempio, prosegue Laura Bononcini «nessuno avrebbe potuto prevedere che un social network universitario fosse potuto diventare uno strumento tanto importante per il business e la crescita di milioni di Pmi in tutto il mondo. In particolare, come dimostrato da un recente studio sulle Pmi italiane che sono sulla piattaforma, 1 su 3 afferma di aver assunto più persone grazie all’aumento di domanda derivante dalla loro presenza digitale. Il dato è inoltre confermato dal fatto che il 70% delle imprese sostiene di avere aumentato il numero di clienti grazie ad un utilizzo strategico di Facebook».
Il digitale come “infrastruttura” capace di supportare le Pmi anche nelle loro incursioni sui mercati esteri è comunque oggi in generale un leitmotiv ricorrente. L’ultimo aggiornamento della “Future of Business Survey”, l’indagine mensile nata a settembre 2016 dalla collaborazione tra Facebook, l’Ocse e la Banca Mondiale, ne è una plastica dimostrazione. Del resto il report che ha coinvolto oltre 49mila Pmi nel mondo, approfondisce, in particolare, la correlazione fra la crescita delle Pmi, l’utilizzo di strumenti digitali e la capacità di commerciare con l’estero. «Il 44 per cento delle Pmi italiane che commerciano con l’estero – spiega ancora il senior manager Facebook Italia, Marco Grossi – afferma che più del 75 per cento delle loro vendite internazionali dipende dagli strumenti online. E il 55 per cento concorda che l’utilizzo di strumenti online per la vendita a livello internazionale ha aumentato i loro ricavi. È evidente quanto il digitale possa fare la differenza».
Guardando all’interno della survey di Facebook, emerge innanzitutto come, in generale, le Pmi che hanno a che fare con i mercati sono più sicure nel condurre le proprie attività di business e positive verso le prospettive di crescita. Nel primo caso il 50% dei trader è positivo rispetto al 38% dei non trader. Nel secondo caso il 60% dei trader è positivo rispetto al 46% dei non trader. Altro elemento generale che riguarda le Pmi che sviluppano la propria attività guardando all’estero e non solo al mercato interno: sono più propense a creare posti di lavoro. In questo caso si legge che il 23% delle Pmi che ha rapporti commerciali con l’estero ha creato posti di lavoro negli ultimi sei mesi rispetto al 21% dei non trader. Nei prossimi sei mesi il 31% delle Pmi che commercializzano con l’estero prevede di creare altri posti rispetto al solo 19% dei non trader.
E nel rapporto con il digitale? Le Pmi italiane utilizzano gli strumenti online per quattro motivi principali: per far pubblicità verso nuovi potenziali nuovi clienti (78%), per mostrare i prodotti e servizi (78%), per dare informazioni (69%) e per comunicare con i propri clienti e fornitori (56%).La lettura che di questa dinamica dà il Censis, facendo un confronto con il quadro internazionale, segnala (si veda grafico a lato) come la maggior parte delle Pmi usino la rete in modo completo su pubblicità, marketing e comunicazione. Per quanto riguarda gli usi più avanzati della rete le percentuali di utilizzo sono invece ancora troppo basse.
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