Uscita finalmente dal bosco della più dura recessione della sua storia, l’economia italiana scopre che, nonostante tutto, i propri elementi storici di forza hanno tenuto. Vediamo così, con l’aiuto dell’ultimo rapporto sugli scenari industriali del CsC che, con tutte le grandi trasformazioni intervenute per effetto della globalizzazione, l’Italia è tuttora il settimo paese industriale, con una quota stabile al 2,3% del valore aggiunto mondiale, che in Europa siamo tuttora il secondo paese industriale dopo la Germania, che l’export italiano ha tuttora una performance molto buona (è cresciuto del 3,2% annuo dal 2010, un ritmo simile a quello tedesco) e che abbiamo un surplus commerciale di tutto rispetto.
È un quadro che, ovviamente, non cancella gli effetti pesantissimi della crisi, tenendo conto che non si riuscirà a compensarli in termini economici prima del 2021. Ma consente certamente di sfatare alcuni luoghi comuni. Per esempio quello che riguarda la produttività: nel settore manifatturiero, come ha ricordato nella discussione del rapporto l’economista Sergio De Nardis, è almeno dal 2003, in base ai dati rivisti dall’Istat, che in Italia la produttività sta crescendo e oggi aumenta come quella tedesca. Inoltre, la selezione darwiniana operata dalla crisi ha fatto sì che anche per le aziende più piccole questa produttività aumentasse. Insomma, almeno per quel che riguarda l’industria italiana(per i servizi il discorso è assai diverso)alcuni meccanismi virtuosi hanno operato anche nel pieno della crisi.
Sbaglierebbe però chi si accontentasse delle buone notizie, prescindendo dai rischi connessi alla navigazione in un contesto globale in via di rapidissima trasformazione, con nuovi e nuovissimi paradigmi tecnologici, e rimuovendo quelle che sono le debolezze storiche del nostro paese. Per questo, nel rapporto CsC vi sono molti spunti di cui tener conto. Così c’è una riflessione sul tema dell’accorciamento delle catene del valore globali (per fortuna non così violento come si temeva) e si spiega che il nostro paese si colloca a monte delle filiere, perché essenzialmente punta sulla fornitura di semilavorati, diversamente dalla Germania che si colloca a valle delle catene di valore, più vicino ai clienti. L’aspetto positivo della connotazione italiana sta nel fatto che restano entro i confini nazionali tutti i miglioramenti di qualità e tecnologia dei fornitori, con la possibilità di creare lavori altamente specializzati. L’aspetto negativo, come si è visto durante la grande crisi, è l’estrema vulnerabilità in rapporto a cali improvvisi del commercio internazionale.
C’è poi una sfida da raccogliere subito, per non lasciare che l’Italia resti indietro, e riguarda l’innovazione tecnologica. Il rapporto del CsC mostra che l’introduzione di innovazioni di processo e di prodotto tra il 2010 e il 2012 è associata a una maggiore crescita economica nel triennio successivo, sia in termini di fatturato (+25,7% rispetto alle imprese non innovatrici), sia di produttività del lavoro (16,9%), sia di addetti (+8,7%).
Da questo punto di vista c’è un ruolo importante anche per i policy maker: questi dovrebbero sostenere e guidare sulla strada dell'innovazione quelle imprese che hanno oggi una soglia di produttività appena al di sotto di quanto necessario. E, come ha rimarcato il ministro dell'Industria, dovrebbero in ogni caso guardarsi dall'abbandonare, magari per motivi di natura pre-elettorale, una linea chiara di assunzione di responsabilità.
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