Alla marea montante dell’e-commerce di falsi serve la “diga” di una legge europea. Non memorandum, policy interne e gesti di buona volontà. Ma una direttiva capace di imporre, agli intermediari online, obblighi e adempimenti per riconoscere, intercettare e bloccare i prodotti contraffatti cui offrono la propria “vetrina” virtuale.
È quanto chiedono le aziende e le associazioni firmatarie della lettera inviata mercoledì da 100 gruppi industriali e federazioni settoriali europee (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) alla Commissione Ue, per chiedere che la lotta alla contraffazione online torni in cima all’agenda politica. Perché la tecnologia non manca, dai chip ai marcatori, ai software “segugi”.
«Chiediamo che il dovere di collaborazione di tutti gli intermediari – ha spiegato Claudio Bergonzi, segretario di Indicam (l’associazione dei grandi marchi per la lotta alla contraffazione che è tra i firmatari dell’appello)– sia codificato in una norma di legge e non in memorandum o accordi che non hanno obbligo di applicazione. Oggi la direttiva sulla tutela della proprietà intellettuale, del 2004, non affronta la questione. Ad esempio, attraverso filtri preventivi, dove possibile, per intercettare terminologie legate ai falsi o ai prodotti contraffatti associati a brand in vendita. Se oggi segnaliamo a una piattaforma che quel prodotto o quella “vetrina” vendono falsi, il prodotto viene tempestivamente rimosso. Ma poi spesso riposizionato il giorno dopo, senza che vi sia un ulteriore intervento. Spesso i falsari mettono in vendita capi di abbigliamento con bottoni o componenti acquistabili separatamente: segnali che il prodotto non è originale. Su tutti questi aspetti vorremmo che la legge ponesse adempimenti chiari in capo agli operatori del web».
Con la lettera gli occhi si sono rivolti immediatamente verso gli “intermediari” per eccellenza sul web, come Alibaba o Amazon. «I sistemi di protezione Ip e le tecnologie di Alibaba – replicano da Alibaba Group – sono tra i migliori del settore e siamo sempre alla ricerca di modi per migliorarli per proteggere al meglio sia i consumatori sia i titolari dei diritti. Più di 100mila marchi fanno affari con oltre 500 milioni di consumatori sul marketplace di Alibaba. Questa è una testimonianza della fiducia che marchi e consumatori hanno in noi». A ogni modo, «come parte del nostro costante impegno a proteggere la proprietà intellettuale, lavoriamo da vicino all’esecuzione del Memorandum d’intesa riguardante la vendita di prodotti contraffatti su Internet» firmato «con molti marchi globali leader nel 2016, sotto l’egida della Ue» e che incoraggia «procedure tempestive ed efficaci di notifica e rimozione».
Secondo i dati della Guardia di Finanza, tra il 2013 e il primo semestre del 2017 sono stati oltre 2.520 i siti di beni contraffatti, pirateria audiovisiva e pratiche commerciali scorrette oscurati. L’anno scorso ne sono stati chiusi 620. Nei primi 4 mesi del 2017 ne avevano già bloccati oltre 470. La moda è uno dei settori più colpiti dalla contraffazione in generale e, più nello specifico, dai falsi online. Secondo l’azienda milanese Certilogo, che nel 2006 ha sviluppato un sistema di autenticazione hi-tech oggi usato da brand come Versace e Diesel, un consumatore su quattro che intende acquistare online un prodotto originale è tratto in inganno e ne compra uno contraffatto mentre l’85% dei clienti vorrebbe una maggiore tutela da parte dei brand. Che, dal canto loro, si sono attivati per combattere chi produce e vende falsi. Tra i firmatari della missiva al presidente Juncker c’è anche Moncler, da anni in prima linea contro la contraffazione: ha creato un dipartimento ad hoc per la protezione del brand, sia offline sia online. Nel 2016 Moncler ha ottenuto la cancellazione di oltre 11.300 inserzioni dai social media, la chiusura di 1.100 siti web con prodotti contraffatti, il delisting di 34.400 voci dai motori di ricerca e la rimozione di circa 53mila aste da marketplace. Il tutto è stato possibile grazie a un’attività di monitoraggio costante e capillare.
Tra i giganti del lusso mondiale colpiti dalla contraffazione ci sono anche Kering, cui fanno capo, tra gli altri, i “copiatissimi” Gucci, Bottega Veneta e Stella McCartney, Lvmh e Prada. Nel gennaio 2016 la Guardia di Finanza di Pordenone ha chiuso un sito cinese attivo dal 2014 che, con un layout uguale a quello originale, vendeva prodotti Prada falsi.
«Un’azione decisa da parte della Commissione contro i falsi avrebbe effetti ben più rilevanti sulla crescita del Pil rispetto alle decimali correzioni che la Commissione stessa vorrebbe sui nostri conti pubblici» dice Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare. Che aggiunge: «Nella sola industria alimentare l’Italian Sounding ruba ogni anno oltre 100mila posti di lavoro e ha un giro di affari intorno ai 90 miliardi, quasi un terzo dei quali solo sul mercato americano».
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