«Serve un'alternativa e allora tocca a noi offrire una nuova casa a chi non si sente rappresentato, difendere principi e valori che rischiano di perdersi, su lavoro, scuola, diritti e doveri. Tasse più giuste e progressive, una vera parità di genere. Per tutto questo io ci sono».
A ben vedere i principi ispiratori del nuovo partito nato domenica a sinistra del Pd, Liberi ed uguali, elencati dal presidente del Senato Pietro Grasso avrebbero potuto tranquillamente trovare cittadinanza nella stesso Pd. E Grasso si è guardato bene da evocare le bandiere della sinistra radicale come la reintroduzione dell'articolo 18 cancellato per i nuovi assunti dal Jobs act. Perché la sua intenzione è dare alla nuova “cosa rossa” in formazione una coloritura più variegata proprio per non restringersi in una ridotta di sinistra sulla scia della Linke tedesca nata da una scissione dalla Spd.
Eppure la traiettoria del neonato partito sembra essere proprio quella della Linke: un partito che alle ultime elezioni è arrivato al 9% ma che in più di 10 anni non si è mai seduto al tavolo per la formazione del governo e che non è riuscito a scalzare il primato a sinistra della Spd, pure alquanto ammaccata dopo anni di grande coalizione.
D'altra parte l'intenzione degli scissionisti del Pd, a cominciare dai due ex leader Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema, è stata fin dall'inizio proprio quella di spingere il partito “madre” verso una grande coalizione stabile con il centrodestra di Forza Italia - dimenticandosi per altro di aver appoggiato loro stessi, quando Renzi era ancora solo sindaco di Firenze, prima il governo Monti e poi il governo Letta assieme a Silvio Berlusconi - in modo da riempire lo spazio restante a sinistra. Quale che esso sia: 5, 6 o più per cento. E sarebbe un errore immaginare che il Pd e la nuova “cosa rossa” potranno rincontrarsi il giorno dopo le elezioni per la formazione del governo: per ragioni politiche e anche per ragioni inerenti al nuovo sistema elettorale, il Rosatellum.
Le ragioni politiche risalgono esattamente a un anno fa, e la coincidenza non è casuale: la sconfitta del Pd e della maggioranza di governo al referendum costituzionale teso a eliminare il bicameralismo perfetto e ad ammodernare le istituzioni italiane. Uno strappo profondo e non più ricucibile, come dimostra il fatto che tutti i fautori del No al referendum erano seduti domenica all'assemblea che ha lanciato Liberi ed uguali: a cominciare da D'Alema e Bersani (che pure votò fino all'ultima lettura la riforma costituzionale in Parlamento) passando per i vendoliani di Sinistra italiana e finendo con lo stesso Grasso, che anche se non in modo esplicito per via della carica istituzionale che ricopriva non ha mai nascosto la sua avversione alla riforma.
Né è casuale che specularmente la coalizione che si sta stringendo attorno al Pdraggruppa tutti fautori della riforma, da Pier Ferdinando Casini a Giuliano Pisapia, in una sorta di fronte del Sì spesso evocato dallo stesso Matteo Renzi. Dal 4 dicembre del 2016 è disceso tutto il resto: la scissione a sinistra e l'enfatizzazione degli scissionisti di alcuni temi tradizionalmente identitari come la richiesta di reintrodurre l'articolo 18 o quella di smontare la riforma Fornero sulle pensioni. Val la pena di ricordare che, anche in quest'ultimo caso, si tratta di una riforma votata allora dal Pd di Bersani sotto il governo Monti. Ma anche la coerenza a volte si può sacrificare sull'altare della lotta politica. D'altra parte il continuo riferimento alla “discontinuità” rispetto alle politiche renziane è obbligatorio per un partito nato dalla scissione e dalla critica alla leadership renziana.
C'è poi un'altra ragione per cui è possibile pronosticare che le strade del Pd e di Liberi ed uguali resteranno parallele a lungo, senza incrociarsi. Perché è vero che il Rosatellum ha un impianto prevalentemente proporzionale, ma la competizione nei collegi sarà durissima (nel Pd calcolano che i candidati di Liberi ed uguali, pur non avendo possibilità di vincere in alcun collegio, possono impedire l'elezione dei candidati della coalizione di centrosinistra in una ventina di collegi se non in 40) e il giorno dopo non si potrà fare finta di niente. La battaglia nei collegi esclude un accordo post voto, e infatti all'epoca del Mattarellum il Prc di Fausto Bertinotti scelse la desistenza (in un'occasione arrivò a non presentare candidati in nessun collegio della Camera) nell'ottica di un futuro accordo di governo.
In ogni caso il meccanismo del nuovo sistema elettorale potrebbe essere fatale a un centrosinistra ormai diviso, come non a caso ha subito rimarcato il leader del M5S Luigi Di Maio: con la nascita di Liberi ed eguali – ha detto – il centrosinistra si pone fuori dai giochi per la formazione del prossimo governo. La conseguenza paradossale è infatti che potrebbero non esserci i numeri, nel nuovo Parlamento, neanche per fare quel governo di larga coalizione Pd-Fi evocato a fini elettoralistici dai leader scissionisti.
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