Il caso Ilva, e non solo. Nel vociare scomposto della politica, con la testa e i piedi già in campagna elettorale, i silenzi sono a volte apprezzabili. Ma a una condizione: che i silenzi stessi non siano il sintomo di una malattia più insidiosa e rivelatrice, più che di una saggia cautela, di imbarazzati opportunismi.
La vicenda dell’acciaieria Ilva di Taranto, la cui produzione vale grosso modo un punto di Pil, è esemplare. Accade che nella seconda potenza industriale d’Europa alle spalle della Germania si possa correre il rischio, sulla base di un ricorso al Tar della Regione Puglia e del Comune di Taranto, che l’investimento del primo gruppo siderurgico mondiale (Arcelor Mittal) vada in fumo. Addio acciaio, addio lavoro. Nel Mezzogiorno dove il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, vede lo Stato «come un nemico» e insieme alla Regione, governata dall’ex magistrato Michele Emiliano, promuove l’ennesimo contenzioso nel segno del «no».
Il premier Paolo Gentiloni afferma che un grande Paese trova il modo di non disperdere i capitali pronti a bonificare l’ambiente e a salvare il lavoro. Il ministro Carlo Calenda, a proposito del ricorso, parla di «populismo istituzionale». Si alzano anche le voci delle imprese e dei sindacati. Inizia il tira e molla su come uscire da questa nuova emergenza. Ma tutto intorno, silenzio. Un operoso tacere perché, in fondo, il tema è scomodo, ci sono (per tutti i partiti) le elezioni alle porte e nella sinistra è ancora tempo di tormenti e veleni. I numeri degli investimenti valgono meno di quelli dei sondaggi. E che importa una figuraccia internazionale di dimensione mondiale?
Silenzi diffusi, soffici rimozioni. Di fette importanti delle classi dirigenti pubbliche e private e di tanta parte del mondo accademico. Perché è più facile parlare d’altro. Ad esempio, a un anno dal naufragio del referendum costituzionale che provava a ridurre il contenzioso tra Stato ed Enti locali, si discute in Parlamento dei rimborsi spese dei consiglieri del Cnel, l’ente che – a giudizio di tutti- doveva scomparire.
Più difficile, invece, affrontare i casi dell’Ilva o del debito pubblico (qui da parte della politica siamo alla rimozione totale) o misurarsi su come non gettare a mare le riforme che hanno funzionato (tipo il Jobs Act) e proporne di nuove per accelerare la crescita. Lo scandalo politico e culturale è anche questo.
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