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Caso Moro: protezione inefficace, servivano massime misure

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commissione d'inchiesta

Caso Moro: protezione inefficace, servivano massime misure

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(Ansa)
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«Moro doveva essere tutelato. Una semplice lettura combinata dei documenti programmatici delle Brigate rosse e delle informative che provenivano dal Medio Oriente avrebbe consentito di individuare una specifica necessità di tutelare la persona dell'onorevole Moro con le massime misure di sicurezza». È quanto scrive la commissione parlamentare d'inchiesta sul rapimento e morte dell'ex leader dc nella sua terza relazione presentata oggi, nella quale evidenzia «ambiguità di politici, magistrati ed apparati». Nell'inchiesta spunta anche l'ipotesi di un depistaggio sul brigatista Alessio Casimirri, attualmente latitante in Nicaragua.

«Ritardi, omissioni, lacune investigative»
La relazione, illustrata dal presidente della commissione Giuseppe Fioroni, è stata votata ieri dalla Camera con 406 voti a favore e un astenuto. Non si tratta della relazione conclusiva, e non è certo se si arriverà a una sintesi, poiché la legislatura è agli sgoccioli e la commissione, che ha acquisito oltre 700mila pagine di documenti, conclude il suo mandato. «Consegniamo una mole di documenti che credo possa aiutare a comprendere anche i limiti dell'azione preventiva e repressiva degli apparati dello Stato che - ha detto Federico Fornaro, senatore di Mdp e segretario della Commissione - certamente in 55 giorni non hanno fatto tutto quello che potevano per salvare la vita dell'onorevole Moro: troppi ritardi, molte omissioni e strane lacune investigative».

«Protezione inefficace, incapacità fu politica»
«L'inefficace protezione - scrive la commissione Moro - non è dunque imputabile solo a carenze degli apparati di polizia, ma ad una più generale incapacità politica di cogliere il rischio prodotto dalle Brigate rosse, alla quale non furono estranee ambiguità di singoli esponenti della politica, della magistratura e degli apparati. La relazione sottolinea le «lacune della ricostruzione condensata nel 'memoriale Morucci'», e conclude che «la dinamica deve essere profondamente riesaminata anche alla luce degli accertamenti sul bar Olivetti», davanti al quale si svolse l'assalto a Moro, «e sulla sua funzione nell'operazione delittuosa».

«Incredibile mai indagini su palazzina Ior»
«Altrettanto significativa», viene definita la «coincidenza» nella zona della Balduina a Roma, di un complesso di proprietà Ior, che ospitò nella seconda metà del 1978 il brigatista Prospero Gallinari e che era caratterizzato dalla presenza di prelati, società statunitensi, esponenti tedeschi dell'autonomia, finanzieri libici e di due persone contigue alle Brigate rosse. Un edificio che, secondo gli accertamenti documentali svolti dai parlamentari, potrebbe essere stato utilizzato per spostare Aldo Moro dalle auto utilizzate in via Fani a quelle con cui fu successivamente trasferito, oppure potrebbe aver addirittura svolto la funzione di prigione dello statista. Ma sul quale, riferisce la relazione, non si è mai indagato. Dall'attività della Commissione emerge inoltre una «dimensione mediterranea» della vicenda Moro, con particolare riferimento agli accordi politici e di intelligence relativi al Medio Oriente, alla Libia e alla questione israelo-palestinese.

Depistaggio su Casimirri, atti a pm
Nella sua indagine la commissione ha scoperto un «cartellino fotosegnaletico» intestato a Casimirri, «figlio di Luciano, capo ufficio stampa dell'Osservatore Romano e responsabile della sala stampa vaticana», che fino ad oggi risultava mai arrestato né fotosegnalato, datato 4 maggio 1982. La relazione evidenzia che « a quella data era già stato colpito da più mandati di cattura, pertanto avrebbe dovuto seguire un immediato arresto». O si verificò un «fatto abnorme», cioè un arresto di Casimirri e un suo successivo rilascio, che gli diede la possibilità di sottrarsi a due mandati di cattura e di proseguire la latitanza, oppure, dice la relazione, il cartellino è un falso. In entrambi in casi, ha detto il presidente Fioroni in una conferenza stampa, «esistono dei profili di un possibile depistaggio che la commissione intende sottoporre con un esposto all'attenzione della procura». «La ricostruzione di alcuni aspetti della carriera criminale e della latitanza di Casimirri evidenziano, del resto, - si legge ancora nella relazione - un quadro inquietante di protezioni di cui il latitante potrebbe aver goduto e che possono essere fondate su ovvi elementi familistici, ma anche, alla luce di comportamenti di soggetti diversi, ma con analoghi percorsi, elementi di collaborazione, più o meno ufficiale, con strutture dello Stato».

«Conosciamo solo verità dicibile»
Secondo la commissione «la ricostruzione storico-politica e giudiziaria di uno dei momenti più drammatici della storia repubblicana», cioè il rapimento e la morte di Aldo Moro quasi 40 anni fa, «è ancora fortemente condizionata da una 'verità' affermatasi tra gli anni '80 e i primi anni '90 del Novecento, che ha poi trovato un parziale accoglimento in sede giudiziaria», ma che rappresenta solo una «verità dicibile», che non tiene conto di «molti aspetti». Sulla ricostruzione di questa «verità dicibile» pesa il racconto dell'ex brigatista Valerio Morucci, e il suo "memoriale", trasmesso alla Presidenza della Repubblica e, da questa, all'autorità giudiziaria. Fu - sottolinea la relazione -«funzionale a una operazione di chiusura della stagione del terrorismo», tenendo fuori «gli aspetti più controversi, dalle responsabilità politiche e istituzionali al ruolo di quell'ampio partito armato, ben radicato nell'estremismo politico, di cui le Brigate rosse costituirono una delle espressioni più significative».

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