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Poteri quasi pieni ma niente fiducia, possibili decreti e nomine urgenti

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L'Analisi|il raggio d’azione del governo

Poteri quasi pieni ma niente fiducia, possibili decreti e nomine urgenti

Con l’emanazione dei quattro decreti del Presidente della Repubblica (scioglimento delle Camere, convocazione dei comizi elettorali e assegnazione alle circoscrizioni elettorali dei seggi spettanti rispettivamente a Camera e Senato), l’ordinamento costituzionale italiano entra nella fase di transizione tra una legislatura e un’altra. Questa fase, mentre dal lato della politica sarà dominata dalla campagna elettorale, dal lato delle istituzioni sarà dominata da un principio costituzionalmente necessario e indefettibile: quello della continuità dell’esercizio delle pubbliche funzioni da parte del Governo. Infatti, l’ordinamento deve sempre assicurare la continuità degli organi costituzionali anche nelle fasi di transizione, evitando che la cessazione, naturale o anticipata, del mandato di un ufficio pubblico, in primis quello degli organi costituzionali, crei nocumento all’ordinamento in sé.

In tema, l’articolo 1, comma 2, della legge 400/1988 prevede che il governo rimanga in carica fino al decreto del Presidente della Repubblica di accettazione delle dimissioni, e che questo atto sia contestuale alla nomina del nuovo governo. Storicamente, i Governi italiani hanno interpretato questa fase in differenti modi. Quelli indeboliti per ragioni giuridiche da un voto di sfiducia o quelli dimissionari per ragioni politiche, hanno perimetrato il loro agire, soprattutto a partire dagli anni ’80, adottando apposite circolari o direttive che venivano a ridurre l’attività di governo ai cosiddetti affari correnti, ossia alle questioni già aperte, o a quelli straordinari, dettati da urgenze improvvise.

Al contrario, quelli non sfiduciati né dimissionari, come è l’attuale Governo Gentiloni, hanno potuto agire nella pienezza dei loro poteri, forti di un intonso rapporto fiduciario, restando liberi di adottare provvedimenti normativi in ragione di impegni, interni e internazionali, innanzitutto di tipo economico, oltre che di effettuare nomine laddove il ritardo venisse a causare, appunto, un danno alle istituzioni. Ciò è possibile poiché l’unico vincolo non superabile – fatta salva la cosidetta “fiducia tecnica”, volta a risolvere un’impasse provvedimentale - è l’impossibilità di apporre la questione di fiducia di tipo politico su un atto normativo, essendo venuta meno, in ragione dello scioglimento della legislatura, la maggioranza politica che in origine aveva dato, appunto, la fiducia al Governo.

Ovviamente, con l’insediamento delle nuove Camere, in primis per galateo istituzionale, il Governo si dimetterà, sebbene le dimissioni resteranno congelate fino alla formazione del nuovo esecutivo. Di certo, però, da oggi in poi, il Governo Gentiloni, proprio per preservare la continuità e gli impegni istituzionali presi, rimarrà nel (quasi) pieno esercizio delle sue funzioni. D’altronde, l’Italia non è, come noto, né la Spagna né il Belgio. E il suo parlamentarismo, almeno in questo caso, offre strumenti e meccanismi idonei a garantire la continuità e la saldezza istituzionale necessaria.

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