4/10 LOTTA ALLA POVERTÀ / Reddito di inserimento come punto di partenza
In Italia 4,7 milioni di persone vivono in povertà assoluta. È la vera e propria indigenza, cioè una condizione segnata dalla mancanza delle risorse economiche necessarie per conseguire uno standard di vita definito dall’Istat “minimamente accettabile” (legato ad alimentazione, abitazione, vestiario, trasporti e così via). Nell’ultimo decennio la diffusione è salita, percentualmente, dal 3,1% (2007) all’attuale 7,9% della popolazione. Oggi la presenza della povertà aumenta al diminuire dell’età delle persone, solo tra gli anziani si è ridotta rispetto al passato, e riguarda in misura significativa anche fasce della società ritenute prima “al sicuro”, come il nord e le famiglie con occupati. Politiche di contrasto alla povertà sono state richieste - da più parti - sin dagli anni 90 senza trovare ascolto dai vari Esecutivi via via succedutisi, fino a questa legislatura. I Governi Renzi e Gentiloni, infatti, hanno introdotto la prima misura nazionale rivolta a chi è in povertà assoluta, il Reddito d’Inclusione (Rei). Il Rei costituisce un diritto per chiunque si trovi di sotto di determinate soglie economiche, e si articola in un contributo monetario accompagnato dalla possibilità di fruire di percorsi d’inserimento sociale e lavorativo predisposti dai servizi del welfare locale, con la regia dei Comuni.
Il Rei rappresenta tanto una rottura con il passato quanto una risposta ancora parziale. Due gli aspetti da potenziare. Primo, la copertura: la misura è destinata a 2,5 milioni di poveri – quelli in peggiori condizioni economiche - rispetto al totale di 4,7. Secondo, gli importi dei contributi monetari: le cifre attuali non sono, al momento, sufficienti per uscire dalla povertà.
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