6/10 MILLENNIALS / Stop all’«apartheid» con la leva digitale
Riuscirà la politica, abitata da immigrati e tardivi digitali, a comprendere caratteri e problemi dei nativi digitali? E la società tecnologica renderà i giovani polli da batteria o protagonisti del cambiamento nell’era della discontinuità? Nel nostro Paese si è creata una situazione paradossale di apartheid giovanile, da cui una parte dei millennials cerca di evadere con una diaspora verso l’estero, in cerca di lavoro e fortuna. Paradossale perché nonostante i giovani siano in proporzione sempre meno e più scolarizzati che nel passato, non trovano lavoro. Molti politici, in cuor loro, pensano che la responsabilità sia degli stessi giovani perché sono stati abituati alle comodità e a ottenere tutto ciò che vogliono con l’ausilio di un’educazione familiare fallimentare, troppo protettiva e permissiva.
A forza di posporre il passaggio al mondo adulto con i suoi obblighi stringenti, sarebbero bamboccioni dispersivi e narcisisti, neet nullafacenti, vittime di se stessi e di un presente tecnologico senza profondità, spiaggiati sui display dei loro digital device. Tuttavia, la loro singolarità è che la comunicazione digitale è la loro madrelingua. Per questo, lo sviluppo digitale del Paese dipende da essi. La marginalità che li ha colpititi negli anni 2000, soprattutto con la crisi, va dunque contrastata con urgenza. Scuola, formazione e lavoro sono i temi, con la tecnologia digitale a fare da sistema passante.
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