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2/10 POPULISMO / La corsa al ribasso in risposta al disagio

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    Dieci parole per capire meglio la campagna elettorale

    Sessanta giorni di campagna elettorale. Da oggi, 2 gennaio, alla mezzanotte di venerdì 2 marzo, quando la tregua prima del voto dovrebbe sospendere proclami e promesse. Il decreto di scioglimento delle Camere e il messaggio di fine anno del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con il richiamo alla necessità di promesse realistiche dei partiti necessarie per arrivare a un voto consapevole, hanno fissato altri due punti fermi.
    Il rischio concreto è, però, che la caccia al consenso passi da un confronto giocato su parole d’ordine confuse, utilizzate con l’unico scopo di recuperare consensi o, peggio, di screditare gli avversari. Sovranismo e populismo, immigrazione e millennials, fake news e povertà, per fare solo alcuni esempi, hanno fatto da giorni ingresso nell’agenda della politica. E non sempre le parole vengono usate con chiarezza e responsabilità.
    Il quadro complessivo non aiuta. Ripresa certa, ma non percepita da tutti. Diffidenza verso il principio di rappresentanza. Fratture generazionali e territoriali. Proposte senza valutazioni effettive sui costi (si veda l’appronfondimento di pagina 3). Difficoltà dei ragazzi del ’99 (1999) a trovare risposte nella politica alle proprie domande. Nuovo sistema elettorale alla prova. Tutte situazioni che potrebbero spingere a un confronto esasperato. Da qui la scelta di affidare ai commentatori del Sole 24 Ore la definizione di dieci temi, dieci parole, destinate a diventare centrali nel dibattito delle prossime settimane. Per evitare la confusione delle lingue e dare una mano a chi, per deliberare, vuole davvero conoscere. (j.m.d.)

    2/10 POPULISMO / La corsa al ribasso in risposta al disagio

    La parola populismo nasce in Russia alla fine del 19mo secolo. Denomina un movimento politico che intende migliorare le condizioni di vita del popolo con una forma di socialismo rurale, antitetico alla burocrazia zarista e alle società industriali dell’Occidente. Col tempo diventa un concetto multiforme, che tende a essere assimilato alla demagogia e/o al leaderismo di un capo carismatico in presa diretta con le masse (peronismo).

    Oggi è sostanzialmente una clava che, in Europa ma non solo, viene agitata un po’ da tutte le forze politiche tradizionali per demonizzare l’avversario: quando è un partito anti-sistema portatore delle istanze politiche più disparate e tendenzialmente sovversive dell’ordine costituito. Esempi: il separatismo del Nord ai tempi della nascita della Lega in Italia, il sovranismo nazionalista ed euroscettico del Fronte Nazionale di Marine Le Pen in Francia o dei promotori di Brexit in Gran Bretagna, il nazionalismo xenofobo di Geert Wilders in Olanda o del Fpo (al Governo) in Austria, i sussulti anti-euro e anti-migranti della tedesca Afd, della Lega attuale o del Movimento 5 Stelle. Si potrebbe continuare a lungo spostando lo sguardo a Est e a Nord.

    I movimenti populisti fanno presa perché colgono i problemi concreti della gente, disagio socio-economico e migratorio, malessere anti-Ue, minimizzati o ignorati dai partiti di sistema. Che però ora fanno loro concorrenza nella speranza di recuperare il consenso perduto. E così la parola populismo definisce un concetto ancora più confuso e sfuggente.

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