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Nei casinò i giocatori scappano, il banco perde ma il Fisco vince…

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dopo l'affaire Campione

Nei casinò i giocatori scappano, il banco perde ma il Fisco vince sempre

(Fotogramma)
(Fotogramma)

Puntare sul rilancio dei casinò italiani è, oggi più che mai, un azzardo. Un gioco che appassiona gli amministratori delle quattro case di gioco italiane ma che, invece, coinvolge poco o nulla i clienti, sempre più attratti dalle sale videolotteries che tappezzano i comuni e dai siti online.
Cambiare pelle – ad esempio con promozioni, omaggi e offerte o ospitando nelle strutture centri congressi e resort di lusso – ha dato frutti ma non ancora al punto di arrestare una caduta che, talvolta, diventa un avvitamento senza un'apparente fine.

È il caso del Casinò di Campione, l'exclave italiana in provincia di Como racchiusa nel Canton Ticino svizzero e situata sulla costa orientale del lago di Lugano. È di cinque giorni fa la notizia che la Procura di Como (e dunque non un creditore ma direttamente lo Stato) ha chiesto il fallimento della società, di cui il Comune è socio unico. L'ipotesi d'accusa è quella di peculato. L'istanza nasce dal grave stato di insolvenza della casa da gioco, che nel solo 2017 ha accumulato un debito di oltre trenta milioni di franchi (25 milioni di euro circa) nei confronti del Comune, che dal 1° gennaio 2015 la gestisce con una newco partecipata al 100 per cento. Prima aveva il 47% e le altre quote erano suddivise tra 4 enti pubblici.

Non sono bastati neppure i 91 milioni di incassi per alleviare i conti di una cassa che piange sempre di più. Come ha ricordato il sindaco di Campione, Roberto Salmoiraghi, che si sta prodigando alla ricerca di una soluzione, se la casa da gioco dovesse fallire sarebbero licenziate 500 persone del casinò, oltre alle 100 del Municipio, di cui si ignora la fine.

CASE DA GIOCO ITALIANE
Gli introiti complessivi. Anno 2017, dati in euro e variazione % 2017/2016
IL DETTAGLIO
Introiti di gioco. Dati in euro

Situazione replicabile?
Lo stato di insolvenza è sostanzialmente l'incapacità irreversibile di adempiere alle proprie obbligazioni. In pratica non si riesce più a pagare stipendi, contributi, creditori, imposte e tasse e non si riesce più a tener fede ad obbligazioni bancarie.

Il Casinò di Saint Vincent (la cui proprietà è al 99% della Regione autonoma Val D'Aosta e per l'1% del Comune che lo ospita) non sembra avere al momento problemi anche perché l'amministrazione ha approvato un piano lacrime e sangue. Dal 1° gennaio 2018 ha debuttato la riduzione degli stipendi (con tagli dal 4 al 19%) con risparmi previsti di circa sei milioni all'anno. I dipendenti sono circa 630 e se non ci fosse stato l'accordo sindacale 264 persone sarebbero state licenziate. Quando è arrivato Giulio Di Matteo, amministratore unico del Casinò della Valleé e presidente di Federgioco (che rappresenta le quattro case da gioco), i ricavi erano di 67 milioni, il costo del lavoro di 45 milioni ( il 74,8%) e un croupier, in media ed escludendo le mance, prendeva sui 5mila euro al mese. Oggi, afferma Di Matteo, un neo assunto parte da 2.500 euro netti. Comunque un gran buon vivere. Anche perché le mance continuano ad essere escluse.

Il casinò di Venezia (del Comune) da tempo naviga in acque agitate e ha difficoltà nel trovare un accordo sindacale simile a quello della Valleé.

A Sanremo (anche qui di proprietà del Comune dopo la dismissione della quota della Provincia di Imperia) il casinò ha, rispetto agli altri, un volume di incassi ridotto ma si dà da fare per stare al passo con i tempi, grazie ad un sito nel quale è possibile giocare online e ad una grande sala Vlt, vale a dire i videogiochi, «che non prevede neppure l'identificazione dei giocatori», spiega Di Matteo.

Incassi in picchiata
Il 16 maggio 2017, durante la presentazione del nuovo programma associativo di Federgioco, è stato sottolineato come il settore sia in flessione da diverso tempo. Negli ultimi dieci anni si è passati da incassi per 515 milioni ai 293 del 2016 (dei quali 185 provenienti dalle slot machine e 108 dai tavoli da gioco), per un calo di oltre il 43 per cento. In discesa anche gli ingressi, che nel 2008 superavano i 3 milioni, mentre nel 2016 hanno toccato 2,1 milioni (-30%).

Nel 2017 (si veda tabella di fonte Federgioco) le cose non sono migliorate. Tutti hanno perso in incassi e clienti. In questo ultimo caso, tranne il casinò di Venezia che, inaugurato nel 1638, è il più antico del mondo.

Cause e prospettive
In generale il gioco nei casinò cala, non casualmente, a partire dal 2009 quando, spiega Di Matteo, venne convertito in legge il decreto legge n. 39, varato due mesi e venti giorni dopo il sisma che in Abruzzo provocò 309 vittime. Quella legge del 24 giugno 2009 introduceva la possibilità di installare le vlt (o videolotteries) per concessione statale. Non solo, dunque, più macchinette nei bar ma anche vlt a tappeto. Oggi le sale gioco in tutta Italia sono 1.200 e il gioco diffuso frutta allo Stato 10 miliardi di imposte e tasse all'anno. «L'offerta di gioco diffusa ovunque – spiega il presidente di Federgioco – ha drenato un'offerta che prima era esclusiva. Se a ciò si aggiungono i siti online, il crescere dei tablet e dei telefonini che amplificano offerte e possibilità, si capisce la crisi di un settore storico».

Questo stato di cose, conclude Di Matteo, impone a Federgioco di chiedere al Governo, alla politica e al Legislatore, di riequilibrare l'offerta. «Bisogna arrivare a nuovi contratti collettivi per i dipendenti delle case da gioco – afferma – e a riposizionare l'offerta di gioco, vale a dire capire cosa vuole il giocatore. Saint Vincent oggi, sul modello di quanto accade a Las Vegas, è un bellissimo resort che offre anche la possibilità di giocare. Inoltre non è possibile che si entri nelle 1.200 sale vlt senza essere identificati. Cominciamo a rendere obbligatoria per legge l'identificazione e così i questori, in caso di infrazione, possono chiudere le sale».

r.galullo@ilsole24ore.com

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