Non mancano segnali positivi nei programmi dei partiti. Resta però il dato dominante di una scarsa attitudine della politica a fare di impegni puntuali (anche tenendo conto di vincoli finanziari e internazionali) il perno dell’azione verso gli elettori.
Soprattutto, nel confuso dibattito elettorale e nel ventaglio delle proposte a effetto, risulta marginale ciò che invece è centrale per il Paese e la sua economia reale: l’emergenza del lavoro giovanile, il rafforzamento del sistema industriale che è perno della ripresa (come dimostrano i dati Istat sulla crescita degli investimenti privati), il rilancio di infrastrutture strategiche per lo sviluppo.
Partiamo dai segnali positivi. Nel documento del centro-destra, frutto di difficili compromessi fra alleati, si legge su aspetti potenzialmente dirompenti per i conti pubblici - come l’azzeramento della legge Fornero - un richiamo alla sostenibilità economica e finanziaria di queste misure. Sia pure in termini ancora generali, è un paletto importante, imposto dall’ala moderata di Forza Italia per evitare derive populiste. Anche nel documento del Pd, che sarà consegnato in forma definitiva solo oggi, ci sono segnali rilevanti: su temi decisivi come il debito o l’Europa si afferma la cultura di governo (che fa capo alla linea Gentiloni-Padoan ma richiama anche la continuità con il lavoro riformista del governo Renzi) rispetto all’anima di “lotta” (con inclinazione populista) apparsa a più riprese nei mesi scorsi. Un terzo segnale arriva dalla fine della stagione del rilancio continuo su proposte faraoniche e cancellazione di riforme già varate che ha caratterizzato il primo, brutto mese di campagna elettorale. Restano, visibili, i danni di quella rincorsa ma almeno si registra una frenata sull’irrealistico allargamento del perimetro programmatico.
Questi segnali - che ci si augura costituiscano una rotta utile per la prosecuzione della campagna elettorale in modo da consentire agli elettori di distinguere fra proposte responsabili e irresponsabili - non riescono però a scansare la sensazione forte che la politica in Italia resti lontana da una cultura di governo fatta di indicazioni chiare delle priorità, delle misure necessarie per affrontarle, delle risorse per finanziarle. Come appare superficiale immaginare uno scenario internazionale (per esempio europeo) che si pieghi ai desideri delle nostre forze politiche senza tenere conto di vincoli e difficili confronti con altri Paesi. Per non parlare, a proposito di cultura politica inadeguata, dei rinnovi contrattuali degli statali sotto elezioni, con calibratura degli arretrati in busta paga.
Ma soprattutto è l’assenza di una politica specifica per l’economia reale, la competitività, l'innovazione, la produttività a sorprendere. Si parla di occupazione giovanile come di un’emergenza ma le poche misure indicate per affrontarla risultano timide, ai margini del dibattito, confuse fra le tante: ben venga il nuovo taglio del cuneo del Pd ma vale 2,6 miliardi a regime contro i 23 (9 in deficit) per le agevolazioni alle famiglie. Nessuno ha avuto il coraggio di presentare un piano shock per il lavoro dei giovani, concentrando lì una fetta importante di attenzioni politiche e risorse disponibili. Così come non viene dall’elaborazione dei partiti il piano per l’industria in chiave di innovazione e competitività che su questo giornale hanno presentato Carlo Calenda e Marco Bentivogli. È vero che il Pd parla di stabilizzazione (a livelli ridotti) del superammortamento per Industria 4.0, il centro-destra di semplificazioni importanti e M5S di agevolazioni fiscali alle imprese ma siamo lontani da un disegno complessivo e consapevole del fatto che la vera ripresa (anche occupazionale) non può che passare da un’Italia più forte nella competizione mondiale.
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