Questa volta è Paolo Gentiloni che offre qualche spunto per gli scenari del dopo-elezioni. Ieri si trovava a Davos, al World Economic Forum, e naturalmente le domande sono state sul dopo voto, se c’è un’ipotesi di governo con Berlusconi e quante probabilità ci sono che lui resti. Le risposte sono state tipiche da campagna elettorale e quindi ha escluso intese con Forza Italia, ha detto che il suo compito finirà con le elezioni e che sul dopo «si vedrà». Ma ha anche aggiunto alcuni dettagli utili: e cioè che all’instabilità italiana si sono sempre trovate «soluzioni flessibili»; che si deve continuare sulla «strada delle riforme» e, infine, che Berlusconi non è un «populista». Questi tasselli sono senz’altro poca cosa, piccoli indizi, ma non scavano un solco sulla strada di coalizioni allargate se dopo le urne nessuno tagliasse il traguardo della vittoria.
È chiaro che è troppo presto per ogni ipotesi ma se davvero il 5 marzo ci sarà una situazione di stallo, il momento cruciale che al Colle guarderanno con molta attenzione, sarà l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Pur in assenza di vincitori, servirà infatti una maggioranza per eleggere il presidente di Montecitorio per il quale è necessaria – prima – quella dei due terzi, poi quella assoluta dei componenti e poi dei votanti. Dunque, si dovranno fare accordi tra diverse forze politiche o anche patti di “desistenza” su un nome, nel senso che per raggiungere la maggioranza dei votanti ci si potrà accordare per uscire dall’Aula e abbassare il quorum. Nel 2013 per il centro-sinistra – nonostante la non-vittoria – non ci furono problemi perché alla Camera prese il premio di maggioranza del Porcellum e, quindi, l’elezione della Boldrini andò liscia.
Ma questa volta c’è un’altra legge elettorale e, se non c’è una maggioranza fatta dalle urne, bisognerà cercarla. Sarà insomma una prova generale di nuove alleanze, un’indicazione utile per Sergio Mattarella per cominciare le consultazioni. Per questa ragione al Colle considerano il momento dell’elezione dei presidenti di Camera e Senato come il “big bang” della nuova legislatura. Al Senato, però, la regola è diversa e il presidente potrebbe anche essere eletto da un non-maggioranza per il semplice fatto che dalla quarta votazione si va in ballottaggio e vince chi ha un voto in più. Ecco perché queste due votazioni magari non risolveranno il rebus ma certamente saranno un punto di partenza per il capo dello Stato.
Tra l’altro sarà un momento cruciale anche per un’altra ragione: quali profili verranno scelti? In tempo di maggioritario, le due cariche sono state elette tra gli esponenti della maggioranza e solo in quel perimetro. Ma ora che la legge è prevalentemente proporzionale – e nell’ipotesi che non ci siano i numeri – anche i nomi per quel ruolo saranno necessariamente diversi dal passato. Magari più di frontiera e meno connotati politicamente. A maggior ragione sapendo che per il capo dello Stato potrebbero diventare un riferimento istituzionale importante nella ricerca di un governo. L’appuntamento per questo eventuale test è a partire dal 23 marzo, primo giorno del nuovo Parlamento.
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