La “white economy” è ormai un potente driver dell'economia italiana che contribuisce al Pil nazionale per il 10,7%, dando lavoro ad oltre 2,4 milioni di persone, pari a circa il 10% dell'occupazione complessiva. Una filiera pubblica e privata, quella della salute, che produce qualità della vita portando l'Italia ai primi posti nel mondo per numero di anni vissuti senza malattie o infortuni. Che contribuisce alla ricchezza nazionale. E che ha il vantaggio di essere anticiclica, come dimostrano gli aumenti a due cifre messi a segno in questi anni di crisi su export, fatturato e valore aggiunto. È questa la fotografia che emerge dal Rapporto di Confindustria sulla filiera della salute, presentato questa mattina a Roma, realizzato insieme alle Associazioni confederali di categoria che rappresentano la filiera stessa (Aiop, Assobiomedica, Farmindustria, Federchimica e Federterme).
Boccia: la filiera è un driver come le infrastrutture
«La filiera salute non è un semplice settore economico ma un driver – sottolinea Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria – come le infrastrutture. Perché impatta sulla società. E in una società che invecchia dobbiamo fare un salto di qualità e competenza: il costo deve diventare un investimento, una opportunità, un'idea di società del futuro ma anche un grande contributo per attrarre ricchezza del paese. Abbiamo scoperto come l'industria della filiera della salute può essere un driver anche per l'export del paese. Ed export significa attrarre ricchezza».
Valore aggiunto: open innovation
Risultati economici e non solo ottenuti grazie a un mix di welfare, cure ospedaliere di qualità, assistenza primaria in evoluzione, compreso il settore termale e della riabilitazione, e un'industria che investe nell'innovazione farmaceutica, diagnostica e biomedica circa 2,8 miliardi di euro, ovvero il 13% del totale degli investimenti in ricerca e innovazione in Italia. Insomma un network di eccellenze interconnesse, che parte dai laboratori accademici e dalla ricerca non profit, passa per le start up industriali e le imprese dell'Ict. Un'alleanza tra attori diversi all'insegna della “open innovation” (un esempio è il Cluster tecnologico nazionale di scienze della vita Alisei) che ha condotto l'Italia ad assumere un ruolo di leadership sul fronte delle terapie avanzate (tre farmaci biotech su sei approvati nell'Ue sono stati sviluppati in Italia) e della diagnostica biotecnologica, che ha avuto una forte accelerazione consentendo la diagnosi di malattie delle quali si ignorava l'esistenza. E il risultato finale di questa magia è il bene più grande, la salute e il benessere dei cittadini.
Il perno dell'industria privata
«Perno decisivo della white economy – dichiara Confindustria - è costituito dall'industria privata della salute: un settore i cui principali indicatori di performance, nonostante la crisi, registrano miglioramenti significativi sia in termini percentuali, rispetto al totale nazionale, sia in termini assoluti».
La filiera della salute “privata” (manifattura, commercio e servizi sanitari privati) rappresenta da sola, rispetto all'economia del Paese, il 4,9% del fatturato (144 mld di euro), il 6,9% del valore aggiunto (49 mld di euro), il 5,8% dell'occupazione (circa 910.000 persone) e il 7,1% delle esportazioni (oltre 28 mld di euro), con valori tutti in crescita rispetto al 2008. Gli impatti sull'occupazione sono stati di grande rilievo. Tra il 2008 e il 2015, infatti, mentre l'occupazione generale si è contratta del -9,2% la filiera della salute ha messo a segno una crescita del 3,35%, con i servizi sanitari svettati del 9,7 per cento.
La rivoluzione della ricerca farmaceutica
«Parte fondamentale della filiera della salute – sottolinea Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria – sono le imprese del farmaco. Per la loro capacità di produrre, esportare e innovare. La rivoluzione della genomica, delle terapie avanzate e del digitale hanno portato al record dei farmaci in sviluppo nel mondo (15mila, oltre 7mila in fase clinica) e a un cambio di paradigma con il medicinale non più solo un prodotto ma parte di un processo di cura integrato con la diagnostica e altre prestazioni. L'Italia ha dimostrato molte eccellenze per vivere da protagonista questa rivoluzione. Adesso è necessario consolidare i progressi degli ultimi anni e rafforzarli con una nuova governance che tenga conto del valore creato, dei costi evitati e dei bisogni di cura. Per questo è fondamentale che tutte le componenti del sistema Confindustria facciano squadra per un'Italia sempre più competitiva». Per Massimiliano Boggetti, presidente di Assobiomedica
«il Rapporto sulla filiera della salute di Confindustria è una straordinaria opportunità per parlare ai politici impegnati in campagna elettorale dell'importanza della sanità come valore sociale ed industriale del nostro Paese. Argomento ad oggi piuttosto trascurato nei programmi e nelle campagne elettorali. I dispositivi medici sono essenziali in ogni percorso di salute, dalla diagnosi alla terapia, essi sono il motore che renderà possibile la medicina del futuro, quella delle 4P (predittiva, preventiva, partecipativa e personalizzata). Affinché anche i cittadini Italiani possano accedere a questo affascinante momento di sviluppo della medicina è essenziale, adesso, incentivare le nostre 3.883 imprese presenti sul territorio. Solo così le industrie di Assobiomedica potranno continuare a investire il 7% del valore del mercato in ricerca e innovazione. È pertanto necessario dare un nuovo impulso di sviluppo al mercato dei dispositivi medici, prevedendo una governance del sistema che valorizzi l'innovazione, dall'acquisto al suo utilizzo, semplifichi le regole di un mercato troppo complesso rafforzando l'eticità del comparto, e consenta l'accesso alle nuove tecnologie in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale».
Medici italiani d'eccellenza
Ma non è solo un successo industriale. «Grossa parte del merito va riconosciuta alla qualità delle persone che lavorano nella filiera della salute e soprattutto ai medici italiani – si legge nel Rapporto di Confindustria - la cui bravura è riconosciuta a livello globale». In base ai dati pubblicati dal portale SciMAGO, che elabora le informazioni contenute nelle riviste scientifiche di tutti i Paesi producendo indicatori specifici, l'Italia si posiziona ai primi posti per la qualità delle pubblicazioni in molte discipline, tra le quali oncologia, cardiologia, neurologia e farmacologia.
E sul fronte della ricerca, sia clinica sia di base, va segnalata anche l'esperienza della fondazione Forst, per la ricerca scientifica termale e riabilitativa. «Il rapporto mette in evidenza il contributo rilevante del termalismo – sottolinea Costanzo Jannotti Pecci, presidente di Federterme - al miglioramento della salute e alla qualità della vita. Il termalismo italiano, che conta su 400 imprese, realizza un sistema di welfare termale che opera per la prevenzione, la cura e la riabilitazione. Tutte attività supportate dalla ricerca scientifica promossa da Forst con bandi internazionali e finanziata dalle stesse imprese termali italiane».
Il nodo delle risorse
Un vero e proprio patrimonio nazionale messo a dura prova nell'ultimo decennio dai tagli sui finanziamenti pubblici - decisi a dispetto di una domanda di salute in crescita sotto la spinta dall'invecchiamento della popolazione - che hanno da un lato accelerato un efficientamento della spesa pubblica, ma che hanno finito per privare il Ssn di un livello di risorse adeguato. Insomma la logica dei tagli ha prevalso sull'approccio outcome-based, che non limita lo sguardo alla singola voce del budget pubblico ma considera i risultati complessivi delle prestazioni in termini di salute e benefici socio economici. Secondo l'ultimo Rapporto Ocse l'Italia è solo ventesima su 36 Paesi per spesa sanitaria pro capite (pari a 2.470 dollari), al di sotto della media (2.821 dollari) e in coda ai Paesi europei più sviluppati, come Germania, Belgio, Francia e Uk.
La carta del turismo sanitario
Una possibile fonte di risorse potrebbe essere il turismo sanitario, che secondo l'Associazione italiana dell'ospedalità privata (Aiop) rappresenta una carta vincente. «Tra le risposte che possiamo dare per venire incontro alle difficoltà del Ssn – afferma Gabriele Pelissero presidente Aiop - sicuramente oggi c'è la nostra capacità di offrire cure di eccellenza anche ai pazienti di altri Paesi. Vogliamo promuovere il nostro sistema sanitario all'estero e attrarre la domanda di cura da parte delle migliaia di persone che nell'ultimo ventennio, complice la riduzione dei costi di trasporto, scelgono di farsi curare al di fuori del proprio Paese». Si tratta di un mercato che la Medical Tourism Association stima in circa 100 miliardi di dollari e 11 milioni di pazienti coinvolti. «Ma per essere competitivi – conclude Pelissero - occorre che l'Italia possa concorrere alle stesse condizioni degli altri Paesi europei. E in questa direzione l'obbligo di pagamento dell'Iva da parte dei pazienti stranieri va rapidamente superato per allinearci ai competitori europei. Infatti le prestazioni solventi dei cittadini extracomunitari garantirebbero nuove risorse per il settore e, allo stesso tempo, la competizione globale stimolerebbe la necessità di nuovi investimenti, migliorando dunque anche le cure per i cittadini italiani. Le prime esperienze delle aziende ospedaliere più dinamiche in questo campo sono molto promettenti. Oggi l'intero sistema confindustriale dell'imprenditorialità sanitaria si muove compatto per affrontare questa nuova grande sfida».
Superare l'approccio ragionieristico
Il 75% del sistema salute è finanziato da risorse pubbliche. È quindi un dato di fatto che le politiche sanitarie sono anche politiche industriali. Alla luce di questa simbiosi, «appare opportuno – conclude Confindustria - indicare la necessità di una programmazione condivisa (settore pubblico e imprese) delle policy, evitando il ricorso ad un approccio ragionieristico al tema della sostenibilità del sistema salute del Paese». E tra le proposte di policy di Confindustria, la prima è quella di «riconoscere e premiare l'innovazione e tutelare la proprietà intellettuale sostenendo i diritti di brevetto e marchio, per favorire gli investimenti»; ma anche «garantire che le scelte di politica sanitaria siano sempre fatte nel pieno rispetto dei criteri scientifici, riconoscendo alle Istituzioni nazionali la esclusiva competenza su temi quali valutazione dell'innovazione, brevetto, marchio, equivalenza terapeutica, HTA». E terza considerazione, la necessità di superare la gestione della spesa sanitaria “a silos”. «È necessario invece passare a una logica di value-based healthcare, che misuri i costi evitati dall'uso appropriato delle terapie e identifichi le prestazioni sanitarie come un investimento e non come un costo».
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