Due anni di teoria e uno on the job da spendere in studi professionali o in impresa. Con materie e lezioni in laboratorio calibrate insieme agli Ordini e Collegi professionali per rispondere al meglio alle esigenze di un mercato, quello delle professioni tecniche, che cambia sempre più rapidamente. Ecco l’identikit delle «lauree professionalizzanti» che debuttano nel prossimo anno accademico: si parte con 15 corsi in altrettanti atenei, come dimostra un monitoraggio appena effettuato dalla Conferenza dei rettori (Crui). Lauree, queste, che guardano allo sviluppo delle nuove frontiere di industria 4.0 e a settori tradizionali come l’edilizia o il settore alimentare (possibili anche partenariati con le imprese). E che, grazie alle convenzioni obbligatorie con gli Ordini, a regime saranno anche abilitanti per svolgere una professione, come quella di geometra o perito industriale (l’Ue ha previsto entro il 2020 l’obbligo del diploma di laurea per esercitare una professione tecnica).
«L’università cambia e deve guardare sempre di più al mondo del lavoro », spiega il presidente della Crui Gaetano Manfredi. Che prevede per il prossimo anno «almeno altri 30 corsi in più». Con l’avvio delle lauree professionalizzanti - l’ultimo decreto del Miur che ne ha rivisto i requisiti è di fine novembre scorso - si arricchisce così l’offerta accademica affiancando questo nuovo percorso di tre anni a quello delle lauree triennali tradizionali e armonizzandosi con l’offerta degli Its, gli Istituti tecnici superiori che guardano soprattutto alle richieste del mondo manifatturiero operando in stretta sinergia con le imprese del territorio. Al punto che in futuro non sono esclusi accordi per percorsi combinati professionalizzanti+Its. Al momento le norme prevedono che le università non attivino più di un nuovo corso all’anno.
La speranza è che attraverso questo strumento cresca il numero di immatricolati alle università. Una pre-condizione per consentire all’Italia di abbandonare i bassifondi della classifica Ue per numero di laureati. In attesa di conoscere il loro appeal sugli studenti va registrata un’impennata di iscrizioni all’università dopo gli anni bui del passato coincisi con la crisi economica che ha contribuito a un crollo verticale delle matricole. Un segnale in questo senso arriva dai primi dati sulle immatricolazioni che si stanno chiudendo in queste settimane. I dati raccolti dal Sole 24 Ore su un campione di 15 atenei che rappresentano metà degli iscritti totali conferma questo trend facendo stimare per il 2017/2018 una crescita di circa il 5 per cento. Aumento che unito a quello dell’anno scorso (+4%) farebbe tornare le immatricolazioni ai livelli di dieci anni fa, prima della crisi, superando la soglia simbolica delle 300mila matricole. Dai numeri emergono crescite importanti, come all’università di Torino dove si registra un aumento del 9% (da 15456 a 16803 matricole) o addirittura del 10% come all’università del Salento (anche se qui ancora sono stime) e sempre al +10% al Politecnico di Bari per le lauree di primo livello. Ottime perfomance ci sono anche all’università di Firenze dove a fine novembre si registrava già una crescita del 6 per cento. Mentre mega atenei come la Federico II di Napoli e la Sapienza di Roma a fine dell’anno scorso mostravano crescite rispettivamente del 4,5% e del 3,5 per cento. «L’effetto di questa crescita è dovuta alla nuova offerta e anche - sottolinea Manfredi - al debutto quest’anno della nuova tax area che ha ampliato la platea degli studenti che non pagano le tasse».
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