Corea del Sud, Cina, Taiwan e ora Unione Europea: come da copione, i dazi imposti dagli Usa a gennaio su pannelli solari (30%) e lavatrici (dal 20 al 50%) non hanno tardato a innescare le ritorsioni dei partner, in quella che se ancora non è una «guerra commerciale» aperta, ha tutto l’aspetto di una guerriglia.
Secondo un dossier aperto dalla Wto, ieri, la Commissione europea, su impulso della Germania (che è un grande esportatore di pannelli solari), ha inviato agli Usa la richiesta di avviare un confronto sulle compensazioni alle quali ritiene di aver diritto, in base alle regole della World Trade Organization, a causa delle misure restrittive decise da Washington.
La mossa di Bruxelles segue le iniziative già prese da Cina, Taiwan e Corea del Sud, le quali si sono spinte ad accusare in modo esplicito gli Usa di aver violato le regole della Wto.
Pechino si è mossa martedì, presentando un ricorso all’organizzazione con base a Ginevra, nel quale giudica i dazi «non coerenti» con le norme internazionali e chiede a sua volta compensazioni. Pechino, che potrebbe presto essere l’obiettivo di una serie di restrizioni commerciali a tutela della proprietà intellettuale delle aziende Usa, ha anche avviato un’indagine antidumping sulle importazioni di sorgo e di fagioli di soia dagli Stati Uniti, sostenendo che siano incentivate da sussidi pubblici illegittimi. I prodotti agricoli rappresentano il 13% dei quasi 170 miliardi di dollari di export Usa in Cina. I fagioli di soia, da soli, valgono oltre 12 miliardi.
I dazi sui pannelli solari e le lavatrici sono stati varati sulla base di una legge del 1974 che consente ad aziende statunitensi di chiedere «rimedi» di salvaguardia se hanno sofferto «danni significativi» da improvvisi aumenti delle importazioni. L’ultimo a invocare questa norma era stato George W. Bush nel 2002, per proteggere la siderurgia.
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