Se c’è un tema che in questa complicata campagna elettorale sembra mettere d’accordo buona parte dell’arco costituzionale è il bilancio sostanzialmente negativo che viene fatto delle varie stagioni di privatizzazioni avvenute in Italia. Contrari a ripercorrere le orme del passato, con il collocamento in Borsa o la vendita di quote di partecipate del ministero dell’Economia, sono un po’ tutti. Il motivo lo riassume in modo efficace il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta. «È troppo facile mettere sul mercato quote di partecipazioni pubbliche, perché se da una parte incassi i proventi dall’altra perdi gli introiti dei dividendi», chiosa il deputato uscente. Anche perché, in realtà, di vendibile nelle grandi aziende pubbliche ormai resta poco.
Brunetta, però, rilancia e rivela quanto il presidente di Fi, Silvio Berlusconi, ha tenuto riservato quando ha annunciato un piano di privatizzazioni per circa il 5% del Pil (87 miliardi) per accompagnare la riduzione del rapporto debito/Pil al 100% in 5 anni, da spingere con la crescita e un avanzo primario determinato all’aumento del gettito. «Presenteremo a breve un programma in 100 punti - spiega Brunetta -. Nel punto dedicato al debito indicheremo un elenco di società controllate dal ministero dell’Economia ritenute inefficienti e che potranno essere messe sul mercato nell’arco della legislatura». Per conoscere i nomi bisogna aspettare, ma certo sotto il Mef c’è di tutto: dalla Rai, alle Fs, al Poligrafico, al Gestore della rete, Sogin, Invitalia, Sogei e così via. Bisogna mettersi d’accordo su cosa è considerato inefficiente e come e a chi vendere.
Passaggio non irrilevante, perché ad esempio la Lega, alleato di Fi ma contrario a nuove cessioni non chiude le porte. Cosa farebbe il Carroccio di fronte al piano di privatizzazioni di Berlusconi? «Vedremo nel dettaglio cosa propongono, cosa è strategico e cosa non lo è, quali sono i numeri e soprattutto chi compra. Dei capitani coraggiosi facciamo volentieri a meno», chiosa Armando Siri, padre della Flat Tax e candidato della Lega in Senato per il collegio di Parma. «Le privatizzazioni non hanno dato risultati soddisfacenti nemmeno in termini di più efficienza delle aziende - spiega -. Penso ai casi di Telecom, Alitalia, Cirio, Parmalat».
Matteo Renzi, leader del Pd, si è detto contrario a nuove cessioni di aziende come l’Eni. Sì invece alla valorizzazione del patrimonio immobiliare. «Il capitolo delle privatizzazioni per il Pd non è chiuso - spiega Luigi Marattin, economista del Pd e candidato nel collegio plurinominale per la Camera Emila Ovest -. L’obiettivo è portare il rapporto debito/Pil al 100% in 10 anni ed è sostenibile con un avanzo primario al 2% e una crescita dell’1,5 per cento. L’incognita è la crescita dell’inflazione. Questo percorso contempla un puntello pari a 2/4% del Pil in 10 anni (da 34 a 68 miliardi) da realizzare con privatizzazioni che possono riguardare sia società che immobili. Per gli immobili pensiamo al Federal building, la razionalizzazione degli uffici dello Stato nelle province in sedi accorpate per cedere gli edifici che si liberano. Non ci leghiamo le mani sulle partecipazioni azionarie: tutti gli scenari sono aperti, potenzialmente anche progetti come Capricorn».
Copricorn, come è stato ribattezzato il piano di spostamento delle quotate del Mef sotto la Cdp per poi aprire il capitale di quest’ultima, non dispiace a Liberi e uguali. «Siamo d’accordo solo su operazioni che rivedano gli assetti proprietari in società pubbliche perché hanno una logica industriale - osserva Stefano Fassina, candidato a Roma alla Camera per Liberi e Uguali -. Capricorn ci troverebbe d’accordo per creare una holding che sia espressione di una politica industriale. Ci convince meno la vendita di azioni di Cdp a ipotetici “capitali pazienti” e non avidi di profitti che sinceramente non vedo in giro». Per Laura Castelli, deputata dei 5Stelle, «per ridurre il debito serve investire su settori che contribuiscano ad accrescere il Pil».
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