Il conto alla rovescia è iniziato e la strada è in salita. Giugno 2018, termine che a dicembre il Consiglio europeo si è dato per raggiungere un accordo sulla riforma della normativa europea sull’asilo, non è poi tanto lontano. Allo stato attuale il regolamento di Dublino prevede che il Paese di arrivo è automaticamente responsabile per le richieste. Queste regole, inique, fanno sì che l’Italia sia in una posizione non facile: un paese cuscinetto, stretto tra la pressione migratoria proveniente dall’Africa e una solidarietà europea troppo spesso di facciata. Intanto oggi Donald Tusk ha incontrato a Roma il premier italianoPaolo Gentiloni («Ottima discussione a Roma con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni sull’Europa e l’informale del Consiglio Ue di febbraio», ha scritto il polacco su twitter»). L’incontro si inserisce all’interno di un tour del presidente del Consiglio europeo nelle principali cancellerie europee, allo scopo di giungere quanto prima a una posizione il più possibile condivisa.
Ottima discussione a Roma con il presidente del Consiglio @PaoloGentiloni sull'Europa e l'informale #EUCO di febbra… https://twitter.com/i/web/status/963788639816880128
– Donald Tusk(eucopresident)
Lo scontro tra la vecchia Europa e il blocco dell’Est
È in corso una partita, politica e diplomatica, per modificare queste regole. Stando alla tabella di marcia delineata dal presidente Donald Tusk per raggiungere una nuova intesa, già il mese prossimo i capi di governo della Ue dovrebbero incontrarsi per fare il punto sulla trattativa, che vede da una parte le cancellerie della vecchia Europa, Italia in testa, e la Commissione impegnate a chiedere una maggiore condivisione nella gestione dei flussi migratori da parte di tutti i paesi dell’Unione; dall’altra i paesi del cosiddetto gruppo Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) che di condivisione non ne vogliono sentire parlare. È un'entità coesa, capace di dire la sua in Europa.
Fondi in cambio di una maggiore solidarietà
Allo stato attuale si parte dalla proposta di Commissione e Parlamento europeo che considera il Paese di arrivo non più automaticamente responsabile per le richieste. Il criterio del primo paese di accesso viene sostituito con un meccanismo permanente e automatico di ricollocamento secondo un sistema di quote, a cui sono tenuti a partecipare obbligatoriamente tutti gli stati membri dell'Uni0ne europea. I Paesi Ue che non dovessero accogliere la propria quota di richiedenti asilo rischierebbero di veder ridotto il loro accesso ai fondi comunitari.
Lo scoglio del passaggio al Consiglio europeo
Questa proposta deve tuttavia ottenere il via libera del Consiglio europeo, cioè dei capi di stato e di governo dei paesi dell'Unione, che su questo tema sono particolarmente divisi. Il braccio di ferro è tra chi chiede di votare a maggioranza qualificata nel caso non si delineassero le condizioni per l’unanimità - Commissione e Parlamento Ue e principali cancellerie europee - e chi, come lo stesso Tusk (di nazionalità polacca) e il gruppo di Visegrad che rilancia sulla necessità di avere il consenso di tutti. Il Consiglio europeo di dicembre si è chiuso ancora con un nulla di fatto e il clima in questi pochi mesi non sembra cambiato. Lo stallo è stato criticato non solo da Italia e Grecia, paesi più interessati in quanto in prima linea nella gestione dei flussi, ma anche dalla Germania e dalla Francia. Una Francia che però con il presidente Macron ha più volte sottolineato di non essere disposta ad accogliere migranti economici.
Tusk: trovare una soluzione, non creare divisioni
Il meccanismo dei ricollocamenti è dunque lo scoglio su cui si è incagliata la discussione tra Stati sulla revisione del trattato di Dublino.«La questione migranti è una delle sfide negli anni a venire e dobbiamo trovare una soluzione per fare in modo che l’Ue, insieme agli Stati, possa gestire i futuri flussi in modo efficiente e senza creare divisioni in Europa», ha sottolineato Tusk al termine dell’incontro che ha avuto in settimana con il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, paese quest’ultimo contrario a ricevere nuovi rifugiati.
Austria e Ungheria sempre più inflessibili
Austria e Ungheria chiedono a gran voce uno scrupoloso controllo dei confini e tolleranza zero nei confronti di chi cerca di superare “furtivamente” le frontiere di Schengen. Sullo sfondo, per uscire dall’empasse, l’ipotesi di un’Europa a più velocità: gli stati che si fanno più carico di accogliere i richiedenti asilo potrebbero godere di incentivi economici. Ma è, allo stato attuale, solo un’ipotesi. Intanto la Corte Ue ha ricordato come, per il momento, si applica il principio in base al quale l’accoglienza spetta al Paese di primo approdo nell’Unione.
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