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Sostenibilità «driver» di sviluppo

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Sostenibilità «driver» di sviluppo

  • –Nicoletta Picchio

VERONA

Essere sostenibili per crescere e ridurre gli squilibri che si sono verificati con la globalizzazione e i rapidi cambiamenti tecnologici. È sempre più rischioso vivere, e fare impresa, in un mondo con profondi cambiamenti climatici e disuguaglianze sociali. Investire in sostenibilità non è quindi solo un fatto culturale, ma ha il suo ritorno sul piano economico: è un driver di sviluppo globale, è un business e attrae finanziamenti.

Una partita in cui il nostro paese può e deve essere protagonista. «Le sostenibili carte dell’Italia» è il titolo del convegno biennale del Centro studi di Confindustria, che si è tenuto a Verona, nella due giorni di appuntamenti che prevedono oggi le Assise generali. «Se il mondo va verso la sostenibilità l’Italia non può essere da meno, pena trovarsi spiazzata e perdere terreno anche nella competitività», ha detto il direttore del Csc, Luca Paolazzi, presentando la ricerca. «Il nostro faro – ha sottolineato - è una crescita inclusiva e sostenibile». Un messaggio lanciato in un territorio, come aveva spiegato il presidente degli industriali veronesi, Michele Bauli, aprendo la mattinata, che continua a fare da traino allo sviluppo nazionale, con un pil in crescita da 18 trimestri. Il territorio e le imprese sono proprio due dei tre assi che l’Italia può giocare per vincere la sfida della sostenibilità. Il terzo è il patrimonio culturale, «inteso come paesaggio e deposito di saperi e competenze». Gli imprenditori sono intesi come «attivatori di sviluppo e traghettatori verso il futuro», tanto più che, dice la ricerca, il 70% della spesa privata in ricerca e innovazione in Italia avviene proprio nell’industria manifatturiera. Il territorio è un asso, spiega ancora il Csc, perché «i distretti industriali sono ancora una grande risorsa, anche se hanno bisogno di aprirsi e reinventarsi», perché «la rigenerazione dei territori, infrastrutture e città, produce occupazione e reddito e i territori periferici, se inclusi nelle strategie di sviluppo, rappresentano un’opportunità».

La fotografia di oggi è che per gli italiani la sostenibilità è soprattutto ambientale (61%), per il 25% è economica e per il 10% sociale. «La sostenibilità è un concetto a 360 gradi, coinvolge tutta la società italiana ed occorre una strategia complessiva del paese», ha spiegato Paolazzi. La globalizzazione e le innovazioni hanno portato squilibri sociali, con crescita dei redditi molto disuguale, timori e ansia nel rapporto uomo-macchina, disuguaglianze nelle competenze. Ma non è solo per questo che bisogna puntare ad una crescita sostenibile. La sostenibilità è appunto un business.

Basta guardare l’andamento degli investimenti finanziari mondiali impiegati in settori e imprese che utilizzano la sostenibilità come criterio di selezione delle proprie attività. Alla fine del 2015 la quota era del 26% per un totale di quasi 23 mila miliardi di dollari, in aumento del 25% rispetto a due anni prima. L’Europa ha il primato, con il 53% degli asset in gestione investiti in progetti, imprese e settori sostenibili. Ciò significa che i gestori dei fondi di investimento ritengono che le imprese e i progetti sostenibili assicurino un rendimento di lungo periodo più elevato. Nello studio sono identificate le «mosse vincenti» in capo alla politica, alle associazioni, alle imprese. La politica deve puntare sui 17 obiettivi dell’Agenda Ue 2030. Le associazioni devono sensibilizzare gli associati, fornire servizi, stimolare le comunità. Le imprese, riconoscere nel beneficio per gli stakeholder un proprio interesse di lungo periodo, rinnovare i modelli di business, stringere alleanze con altre aziende per condividere i costi di attività socialmente responsabili. Per Paolazzi ieri è stato l’ultimo rapporto alla guida del Csc: Boccia lo ha ringraziato con gratitudine per il lavoro svolto. Da lunedì Andrea Montanino sarà il nuovo direttore.

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