Saranno spiazzati in pochi, a partire dai diretti interessati. Ma tant'è: i millennials nella fascia 30-34 anni sono più poveri rispetto agli standard delle generazioni precedenti. Di quanto? In media il reddito disponibile equivalente è diminuito del -4% su scala internazionale, ma si raggiungono picchi più gravi nel sud Europa con Spagna (-30%), Grecia (31%) e appunto Italia: -17%. Lo rivela la Resolution Foundation, un think tank britannico, in un report che prova a descrivere in numeri il generation gap denunciato in tutta Europa. E i risultati non sono dei più confortanti. Se i figli della generazione X (1966 -1980) hanno raggiunto i 30 anni con un reddito più alto del 30% rispetto ai baby boomers (1946-1965), i millennials (1980-2000) vanno in direzione contraria: meno entrate e meno aspettative sul futuro, incrinato dall'instabilità economica che si trascina fino all'età adulta.
Il «robusto regresso» dei nostri 30enni
L'indagine di Resolution Foundation ha ricavato la variazione percentuale del reddito “mediano” di generazione in generazione, a seconda della classe di età, nel periodo che va dal 1969 al 2014. I paesi presi a campione sono Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Norvegia, Regno Unito, Spagna, Usa. I numeri, estratti dal database dell'organizzazione Luxembourg income study, spiegano che anche in Italia la generazione X (1966-1980) ha percepito qualche miglioramento rispetto ai predecessori: a 30-34 anni il reddito del gruppo anagrafico era comunque superiore del 6% rispetto a quello dei baby boomers, gli italiani nati durante il boom demografico a cavallo tra gli anni '40 e '50 .
I primi a invertire la tendenza sono appunto i nostri millennials, con un calo del 17% rispetto alla generazione X che si aggancia solo in parte alla congiuntura. Gli under 35 sono più poveri ovunque, ma nella Penisola il regresso è stato più robusto rispetto ad altri paesi. I giovani norvegesi, per fare un paragone, hanno varcato la soglia dei 30 anni con un reddito disponibile maggiore del 13% rispetto a chi li aveva preceduti. In Italia hanno perso quasi un quinto della ricchezza reale da una generazione all'altra, segnando il testacoda più brusco dal dopo-guerra. Un mercato già terrorizzato dai tassi di disoccupazione «giovanile» della fascia dei 15-24enni si trova così a fare i conti con le fragilità delle generazione successiva, i 30enni, classificati come uno dei «blocchi più importanti» per la tenuta economica nazionale. «I giovani adulti sono un punto nevralgico: se entri nei 30 anni in maniera così fragile rischi di avere squilibri che ti porti avanti tutta la vita. Intaccando l'economia» spiega Alessandro Rosina, ordinario di Demografia all'Università Cattolica di Milano.
Se la crisi ha colpito soprattutto i giovani
Rosina fa notare che in Italia, come emerge dal confronto internazionale, la crisi ha colpito con una certe violenza le nuove generazioni. Nella fascia dai 25 ai 34 anni, la quota di Neet (i giovani che non studiano né lavorano) è lievitata in un decennio dal 22,8% del 2006 al 31,4% del 2016. La recessione non ha fatto sconti al resto del paese, ovviamente, ma i più giovani si sono trovati incagliati tra inattività e disoccupazione senza la rete di protezione sociale offerta ai coetanei nel resto d'Europa. «Nel nostro paese - dice Rosina - La fascia che si è trovata in maggiore difficoltà a restare nel lavoro sono proprio i giovani. E la loro unica rete di welfare sono le famiglie: ma una volta che la famiglia non c'è più, cosa succede?».
In attesa della risposta, le difficoltà occupazionali e reddituali dei giovani prolungano i tempi di permanenza nel”nido” dei genitori. In Italia l'età media di uscita di casa si aggira appunto sopra i 30 anni, con un ritardo di 10 anni rispetto agli standard della Scandinavia.Il disagio ha finito per creare una correlazione, prima inesistente, tra età e rischio di povertà assoluta: mano a mano che scendono gli anni, si alza la possibilità di trovarsi in situazioni comparabili all'indigenza. «Fino a 10 anni fa - dice Rosina - non esisteva un rapporto diretto tra età e rischio di indigenza assoluta. Oggi le famiglie che hanno come riferimento un under 35 hanno un rischio di povertà del 10%».
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