È un paese con le carte in regola sotto il profilo della sostenibilità finanziaria, quello descritto dai conti pubblici annuali dell’Istat. Il comunicato dell’Istituto guidato da Giorgio Alleva snocciola infatti una serie di risultati nettamente migliori delle attese e degli stessi obiettivi precedentemente dichiarati dal governo Gentiloni: c'è un deficit pubblico che non era mai stato così contenuto dal 2007 (33 miliardi 184 milioni, l’1,9 per cento del Pil dopo il -2,5 per cento del 2016 e il 2,1 per cento previsto nella Nota di aggiornamento al Def) e un saldo primario positivo dell’1,9 per cento.
C’è una pressione fiscale in lieve discesa (-0,3 per cento) e una ripresa economica che ha fatto crescere il Prodotto dell’1,5 per cento, con ciò portando il paese fuori dalle secche della crisi. Soprattutto, c’è uno stock del debito pubblico nuovamente in diminuzione in rapporto al prodotto interno lordo: dopo il 132% del 2016 la percentuale del debito è scesa di mezzo punto percentuale al 131,5 per cento, essenzialmente grazie a un aumento del Pil nominale maggiore delle attese: è stato infatti del 2,1 per cento, con un deflatore del Pil pari allo 0,6 per cento (più elevato di quanto la sua dinamica in corso d'anno facesse ritenere).
Sono risultati che certamente potranno rassicurare l'Europa, indubbiamente perplessa di fronte ai tanti messaggi contraddittori lanciati dai partiti in campagna elettorale, sul fatto che la rotta di un recupero economico ottenuto insieme al risanamento dei conti pubblici è stata garantita e che si tratta di una rotta praticabile anche dopo il 5 di marzo.
Questo basta per mandare in soffitta, rimuovendola per il suo scarso appeal popolare, la consapevolezza che sul versante della riduzione del suo debito pubblico il paese deve continuare a impegnarsi con serietà? No. Non solo perché, di qui alla notifica ufficiale che l'Istat dovrà spedire a Bruxelles a fine mese, potrebbe anche profilarsi l'esigenza di una lieve rettifica dei dati diffusi il primo marzo: si è infatti in attesa di un parere, altrettanto ufficiale, che L'Eurostat deve rilasciare sul modo di contabilizzare (sull'indebitamento netto o sul debito pubblico) i 5,4 miliardi (pari allo 0,3 per cento del Pil) di garanzie pubbliche concesse a Banca Intesa per l'acquisto delle banche venete.
Ma soprattutto perché, come da più parti è stato fatto osservare, è proprio l’elevato debito pubblico italiano la variabile che trattiene i nostri partner dal procedere sulla strada di una maggiore integrazione europea, adottando iniziative di condivisione dei rischi, sia in campo finanziario che fiscale.
In pratica, l’unico modo di negoziare in Europa da posizioni di forza tutto ciò che serve per rafforzare l’economia italiana è convincere i nostri interlocutori che la percentuale del debito pubblico, in discesa ma ancora molto elevata, continuerà a ridursi in Italia, senza la necessità di scomodare i taxpayer degli altri paesi.
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