«Forse è finita l’epoca del Vaffa». Si chiude una stagione si direbbe, una stagione che è durata lo spazio di una legislatura. Si chiude con le parole di Beppe Grillo, che le pronuncia sul suo blog, confermando quello che ormai molti vedono nel passo deciso di Luigi Di Maio. Ieri c’è stato l’ultimo atto della presentazione della lista dei ministri, un gesto tutto di comunicazione politica ma sempre con l’obiettivo di mostrare un Movimento che abbandona gli spalti dell’opposizione permanente. E prova il salto verso un possibile debutto al Governo. Ma a quali scenari stanno pensando nell’entourage del giovane leader grillino?
Di certo è più lontano quello che è stato lo spettro per molto tempo, ossia quella saldatura tra Lega e 5 Stelle per la formazione di un Esecutivo anti-euro e anti-sistema. E non solo perché i rispettivi leader lo negano ma anche perché durante tutta la campagna elettorale, Di Maio ha portato i 5 Stelle a una progressiva inversione a “U” accreditandosi presso le istituzioni internazionali e italiane in una versione più europeista. E in effetti, anche l’operazione di portare la lista dei ministri al Quirinale, al di là del fumo propagandistico, segnala proprio l’intenzione di volersi muovere in sintonia con Sergio Mattarella. E forse nel silenzio “cortese” del capo dello Stato verso una sgrammaticatura costituzionale c’è l’idea di allontanare i 5 Stelle da tentazioni di fare asse con Salvini e – invece - incoraggiare il Movimento a un percorso istituzionale e coerente con l’Europa. Diventerebbe, certo, meno complicato per il Colle gestire una fase post-voto caotica e senza vincitori avendo una forza più disponibile al dialogo e meno anti-sistema.
Ecco, in questo clima di sintonia con il Quirinale, diventa più probabile rispetto a qualche tempo fa l’ipotesi di un ingresso dei 5 Stelle in un governo di larghissime intese. Un Esecutivo che nascerebbe dopo una fase, non breve, di trattative tra partiti e ripetute mediazioni del Quirinale, spinto anche dalle pressioni dell’opinione pubblica e dalle possibili tensioni finanziarie. Un quadro che richiama alla responsabilità, da definire negli obiettivi e nei tempi, ma ispirato allo stesso criterio citato da Luigi Di Maio. «Non lasceremo il Paese nel caos». Per aderire, però, il Movimento avrà bisogno di avere ministeri-simbolo o approdare a una delle due presidenze di Camera o Senato.
È vero che Di Maio ripete che arriveranno al Governo da soli ma è una frase da campagna elettorale vista l’impossibilità – con questa legge – di conquistare la maggioranza.
C’è, poi, l’ipotesi di un’alleanza con il Pd e Leu e qui dipenderà dai rapporti di forza che usciranno dalle urne. Nel senso che un Pd sconfitto, che non è primo gruppo parlamentare, non potrebbe governare con un 5 Stelle che ha avuto un successo elettorale. Si tratterebbe di stare al Governo come partner di minoranza e rendere ancora più evidente la disfatta tanto più con accanto gli scissionisti ex Pd. Opzione improbabile quindi. Meno lontana se ci fosse equilibrio tra le due forze ma con una “missione” politica tutta da inventare.
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