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Programmi M5S-Pd, aperture congelate

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dopo il voto/la trattativa tra i partiti

Programmi M5S-Pd, aperture congelate

La strategia dell’attesa adottata dal M5S in questi giorni convulsi impone che nessuno si sbottoni su quali potrebbero essere le eventuali concessioni al Pd sul programma, in caso di sostegno a un governo a guida Luigi Di Maio. Ma è indubbio che - al di là di alcuni segnali generici che guardano a sinistra, come la terna economica di professori anti-austerity proposti per la squadra di governo - altre “esche” potrebbero essere lanciate.

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I temi generici esplicitamente messi sul tavolo ancora ieri da Di Maio (non a caso in una lettera a Repubblica) e dai suoi fedelissimi sono lavoro, povertà, riduzione della pressione fiscale e taglio agli sprechi. Ma sottotraccia corrono altre rassicurazioni rivolte ai dem, e indirettamente al Colle e a Bruxelles, da cui ieri è arrivato il primo monito: innanzitutto il Def 2018, per il quale, come anticipato dal Sole 24 Ore, il M5S annuncia un percorso in continuità con il lavoro svolto dal ministro Padoan, teso innanzitutto a disinnescare le clausole di salvaguardia per scongiurare l’aumento dell’Iva (e dunque a trovare subito i 12,4 miliardi necessari) e la promessa di badare all’equilibrio dei conti.

Nessuna volontà, inoltre, di gettare alle ortiche il piano Industria 4.0, orgoglio del ministro Carlo Calenda (che ieri, appena presa la tessera Pd, ha stroncato l’ipotesi di sostenere i Cinque Stelle). La posizione pentastellata è morbida, sintetizzabile così: bene gli incentivi, male che non siano strutturali e che gli interventi siano sbilanciati sull’offerta. La tesi è che vadano inquadrati nella visione di «Stato innovatore» tanto cara a Di Maio e agli economisti a lui vicini, dal candidato ministro dell’Economia Andrea Roventini al suo maestro Giovanni Dosi.

Affinità elettive sulle piccole e medie imprese, anche se il M5S punta all’abolizione progressiva dell’Irap e il Pd scommette sulla riduzione al 22% delle aliquote Ires e Iri, già abbassato al 24%. Sul taglio del cuneo fiscale, il programma M5S prevede di agire sul lato lavoratore dipendente con la riforma Irpef e sul fronte impresa con la scure sulla quota Inail. Ma se si trovassero gli spazi finanziari, nulla vieterebbe di abbracciare la proposta Pd di ridurre il costo del lavoro a tempo indeterminato di un punto l’anno per quattro anni, dal 33 al 29 per cento.

L’elemento più divisivo resta il Jobs Act: il M5S non mostra per ora alcuna volontà di metterne in discussione la cancellazione e il ripristino dell’articolo 18 per le aziende sopra i 15 dipendenti. Idem per il reddito di cittadinanza, anche se entro il primo anno di governo sarà probabilmente possibile attuarne soltanto la prima “gamba”: la riforma dei centri per l’impiego, che vale soltanto 2 miliardi dei 17 complessivi.

Il centrodestra per ora resta alla finestra. Matteo Salvini e Silvio Berlusconi non hanno fretta. «Facciamogli fare un giro...», è il leit motiv che viene ripetuto in queste ore tra i principali esponenti della coalizione. Anche il Centrodestra per ottenere una maggioranza parlamentare deve poter contare sul sostegno del Pd. I punti di contatto ci sono anche se molto labili. Tanto Salvini che Berlusconi hanno detto di voler rivedere ma non cancellare alcune delle riforme realizzate dai governi Renzi e Gentiloni, a partire dal Jobs Act e dalla scelta di abolire l’articolo 18. Salvini vorrebbe la reintroduzione dei voucher ma anche norme più penalizzanti per le imprese che decidono di puntare sui contratti a tempo determinato. Un obiettivo condiviso in buona parte anche anche dal Pd e che per Berlusconi si dovrebbe realizzare puntando a una totale decontribuzione per 6 anni in favore delle aziende che assumono giovani con contratti a tempo indeterminato. Anche Industria 4.0. va rivista ma non cancellato. Per Salvini deve essere estesa la platea dei beneficiari includendo norme ad hoc per le piccole imprese. Apparentemente incolmabili le distanze sulla legge Fornero. In realtà, sulle pensioni sono in parecchi a volerci rimettere le mani anche se - come sottolineato anche nel programma del centrodestra .- senza mettere a rischio la tenuta del sistema previdenziale.

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