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Renzi, dimissioni «vere» alla direzione del Pd. Cresce il…

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verso la riunione di lunedì

Renzi, dimissioni «vere» alla direzione del Pd. Cresce il fronte antigrillino

Il dado ormai è tratto. Lunedì la direzione del Pd prenderà atto delle dimissioni di Matteo Renzi da segretario e aprirà il percorso verso l’assemblea nazionale straordinaria di aprile, tendenzialmente dopo le consultazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. In realtà il passo indietro formale - spiegano dal quartier generale del segretario tentando di far passare la novità come una non capitolazione - è già stato presentato: c’è una lettera scritta lunedì scorso che sarà letta davanti al parlamentino del partito dal presidente Matteo Orfini.

«Lunedì le mie dimissioni saranno esecutive, così si finisce di parlare di me», dice Renzi ai suoi. Il passo indietro annunciato lunedì e subito congelato fino alla formazione del governo sarà insomma “scongelato”, e le dimissioni saranno operative da subito. Il che non è un dettaglio da poco: non sarà Renzi in prima persona a gestire la fase delle consultazioni e delle trattative per la formazione del nuovo governo bensì, come anticipato dal Sole 24 Ore, il vicesegretario Maurizio Martina. Sarà poi l’assemblea nazionale a decidere il percorso: o l’elezione di un segretario in assemblea, come vorrebbe il corpaccione della ex maggioranza renziana (in questo caso direzione, assemblea e tesoriere del partito resterebbero immutati); oppure l’avvio immediato del percorso congressuale, come vuole Renzi e come chiede la minoranza orlandiana (in questo caso decadrebbero subito tutti gli organi del partito).

Quanto alla questione degli eventuali accordi con gli avversari per la formazione del governo, la mossa preventiva di Renzi di mettere subito dei paletti («no ad accordi con gli estremisti, ossia M5S e Lega») ha avuto l’effetto di far uscire tutti allo scoperto e di bloccare con una certa nettezza - almeno per ora - l’ipotesi avanzata da alcuni (i governatori Michele Emiliano e Sergio Chiamparino) di un accordo programmatico con i Pentastellati. Tanto che anche i “frondisti” ossia Luigi Zanda e Dario Franceschini hanno escluso l’ipotesi. Lo stesso ha fatto il leader della minoranza Andrea Orlando («il 90% del partito è contrario ad un’alleanza con il M5S»).

E una voce autorevole in questa direzione si è levata anche dal ministro Carlo Calenda, che proprio ieri si è iscritto al Pd facendo prefigurare un suo ruolo di primo piano in vista del congresso: «Se il Pd si allea con il M5s il mio sarà il tesseramento più veloce della storia». E la posizione di Calenda è anche quella del premier Paolo Gentiloni. La chiarezza sul passo di lato di Renzi serve a svelenire il clima interno in vista della prossima elezione dei capigruppo dem: per il Senato l’ipotesi è un uomo vicino all’ex segretario (Dario Parrini o Andrea Marcucci), mentre alla Camera - oltre all’ipotesi della conferma di Ettore Rosato, pontiere in questa fase delicata - la sorpresa potrebbe avere il volto del ministro Graziano Delrio. Che in caso lascerebbe il governo.

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