Personalità molte diverse tra di loro, scelte di nomi dettate dall’epoca ma anche “campo base” per scalare il Quirinale e carica strategica da assegnare per equilibri di maggioranza e ricerca di accordi tra forze politiche. Tutto questo sono stati in settanta anni di storia repubblicana le presidenze dei due rami del Parlamento che verranno rieletti a partire da domani. A seguire una rassegna di frasi, ridotte nella forma di un tweet (280 caratteri) pronunciate dai vertici di Camera e Senato nei discorsi di insediamento.
L’8 maggio 1948, a cento anni esatti dall’inaugurazione a Torino del primo parlamento italiano, comincia la prima legislatura. A dirigere il Senato viene chiamato Ivanoe Bonomi, figura di spicco dell’Italia liberale (fu presidente del Consiglio nel 1921 e più volte ministro anche con Giovanni Giolitti) tornato nel ventennio mussoliniano a fare l’avvocato. Caduto il regime, divenne protagonista nella difficile transizione post-fascista guidando due volte il governo nel biennio 1944-1945.
“Un grande compito ci sta dinanzi. La nostra giovane Repubblica, fissati nella Carta costituzionale i principi della sua nuova vita, deve oggi iniziare un’opera vasta per tradurli in realtà”
Ivanoe Bonomi, presidente del Senato (8 maggio 1948)
Cattolico, democristiano, avvocato e giurista di gran fama, costituente, Giovanni Leone fu eletto presidente della Camera nel 1955 (per sostituire Giovanni Gronchi salito al Quirinale). Venne riconfermato nel 1958 e nel 1963. Qull’anno divenne premier e nel 1971, dopo il fallimento del progetto di portare al Quirinale Aldo Moro o in alternativa Amintore Fanfani, venne eletto al Colle.
“Il prestigio dell’istituto parlamentare è legato (...) al prestigio delle leggi; e noi (...) dovremo mirare a imprimere alle leggi, insieme con un contenuto di massima rispondenza ai bisogni del paese, una veste formale che sia degna delle nostre grandi tradizioni giuridiche.”
Giovanni Leone, presidente della Camera (12 giugno 1958)
Cesare Merzagora, un indipendente eletto nella Dc, fu presidente del Senato in tre legislature consecutive. È il politico rimasto in carica più a lungo al vertice di Palazzo Madama: dal 1953 al 1967, tre legislature. Merzagora non portò a termine il terzo mandato, perché si dimise dopo le polemiche suscitate da un suo intervento ad un convegno in cui aveva criticato il progetto delle Regioni. Di Merzagora è anche la supplenza più lunga per dimissioni del Capo dello Stato (prerogativa del poresidnete del Senato): prese il posto di Antonio Segni quando il presidente fu colpito da una emorragia cerebrale il 7 agosto 1964. La sua supplenza durò fino al 28 dicembre dello stesso anno, quando il Parlamento in seduta comune elesse Giovanni Leone.
“Non dimentichiamo mai che, laddove il Parlamento funziona, la democrazia e la libertà sono al riparo da ogni insidia, mentre quando il Parlamento decade, si può aprire il baratro della sedizione della guerra civile”
Cesare Merzagora, presidente del Senato (12 giugno 1958)
Amintore Fanfani, il “cavallo di razza” della Democrazia cristiana, ha il record del maggior numero di elezioni al Senato: cinque. Suo è anche il primato delle dimissioni, ben tre. Una volta lasciò perché nominato segretario della Dc, due volte perché nominato presidente del Consiglio. Non gli riuscì invece il passaggio al Quirinale.
“Spetta quindi più che mai alle forze politiche e a quanti, su proposta di esse, sono stati eletti dal popolo procedere con metodo democratico a una valida sintesi delle nuove aspirazioni manifestatesi nel Paese”
Amintore Fanfani, presidente del Senato (5 giugno 1968)
Socialista, antifascista, partigiano, padre costituente e dal 1978 al 1985 presidente della Repubblica tra i più amati dagli italiani: Sandro Pertini nella sua lunga carriera politica fu anche presidente della Camera, eletto per due volte, nel 1968 e nel 1972. Fu il primo caso di presidente non democristiano dal 1948. Uomo dichiaratamente e orgogliosamente di parte, nel suo primo discorso di insediamento Pertini assicurò l’imparzialità nella direzione dei lavori dell’Assemblea, impegnandosi a dimenticare i propri sentimenti e risentimenti politici.
“Onorevoli colleghi, noi dobbiamo pensare di lavorare in una casa di cristallo. Da noi deve partire l’esempio di attaccamento agli istituti democratici e soprattutto l’esempio di onestà e di rettitudine. Perché il popolo italiano ha sete di onestà”
Sandro Pertini, presidente della Camera (5 giugno 1968)
A metà anni Settanta crisi economica e minaccia del terrorismo spinsero alla collaborazione le due principali forze politiche del Paese, la Dc e il Pci. Tra i frutti del compromesso storico c’è l’elezione di un esponente comunista al vertice della Camera: Pietro Ingrao. Che coronò una carriera politico-istituzionale di grande prestigio e al contempo aumentò l’autorevolezza del Pci di Enrico Berlinguer nella società italiana. Nel 1979, però, Ingrao rifiutò l’elezione per un secondo mandato.
“Tutte le cose intorno a noi sottolineano l’urgenza di procedere a un profondo rinnovamento della vita economica e dell’apparato produttivo, indispensabile per ridurre il flagello dell'inflazione, per aprire una possibilità di lavoro qualificato per milioni di giovani e di donne”
Pietro Ingrao, presidente della Camera (5 luglio 1976)
Dopo il primo esponente di un partito di opposizione (Pietro Ingrao), al vertice di Montecitorio arriva nel 1979 la prima donna: è Nilde Iotti, anche lei del Partito comunista. Sarà rieletta per altri due mandati. Tredici anni come presidente della Camera (come tredici furono le volte in cui vene eletta deputato) al termine dei quali tutti le riconosceranno senso delle istituzioni, imparzialità e autorevolezza. «La vita di Nilde Iotti - disse il giorno della sua morte l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi - coincide con la storia della nostra Repubblica».
“Comprenderete la mia emozione per essere la prima donna nella storia d’Italia a ricoprire una delle più alte cariche dello Stato. Io stessa - non ve lo nascondo - vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo”
Nilde Iotti, presidente della Camera (20 giugno 1979)
Entrato alla Camera nel 1958, Francesco Cossiga è enfant prodige della Democrazia cristiana del dopoguerra. È stato fu il più giovane ministro dell’Interno (fino ad allora) nel 1976 a 48 anni e il più giovane presidente del Consiglio (per quei tempi) nel 1979 a 51. Poi nel 1983 il più giovane presidente del Senato a 55 anni, eletto al primo scrutinio con un numero di voti mai più eguagliato: 280. Rimane in carica appena due anni: nel 1985 viene eletto presidente della Repubblica.
“Nella piena fedeltà ai valori della Repubblica (...) si tratta di sottoporre a un’incisiva, prudente, realistica verifica le modalità effettive in cui (...) quei valori hanno trovato affermazione o diniego, forme diffuse di attuazione o zone d’ombra”
Francesco Cossiga, presidente del Senato (12 luglio 1983)
Storico e giornalista (fu direttore del Corriere della sera), Giovanni Spadolini viene eletto per la prima volta senatore come indipendente nelle liste del Pri. Il 10 giugno 1981 divenne il primo Presidente del Consiglio non democristiano nella storia dell’Italia repubblicana. Rieletto senatore nel 1987, divenne presidente del Senato, carica per la quale lasciò la segreteria del partito. Nella legislatura 1992-1994 fu confermato alla presidenza di Palazzo Madama e venne ricandidato alla carica nella legislatura successiva: nella votazione venne però eletto per un solo voto il candidato della maggioranza di centrodestra, Carlo Scognamiglio. Era il 16 aprile '94. Spadolini ameraggiato parlò di «prepotenza dei partiti nelle istituzioni». Morì il 4 agosto di quello stesso anno.
“La frattura tra società civile e società politica, che è alla base del segnale del voto del 5 aprile, deve essere ricomposta con uno sforzo reale di comprensione e novità, in forme e modi che è ancora difficile prevedere (...). Non c’è nulla di impossibile”
Giovanni Spadolini, presidente del Senato (24 aprile 1992)
Iscritto al Pci dal 1945 ed eletto deputato nelle elezioni del 1953, Giorgio Napolitano è membro della Camera ininterrottamente dalla seconda alla dodicesima legislatura (1953-1996), con la sola eccezione della sesta (1963-1968). Dal 1989 al 1992 è anche al Parlamento europeo. Il 3 giugno 1992, dopo le dimissioni di Oscar Luigi Scalfaro, diventato presidente della Repubblica, è eletto presidente della Camera. Nel suo discorso di insediamento sottolineò la necessaria di una rivalutazione dell’opera del Parlamento, «troppo facilmente misconosciuta» e richiamò la necessità di «modifiche di carattere strutturale e di ordine istituzionale». Il 23 settembre 2005 è nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Il 10 maggio 2006 è eletto Presidente della Repubblica. Viene confermato per un secondo mandato del settennato: non era mai accaduto prima. Si è dimesso in anticipo nel gennaio 2015.
“Il Parlamento, onorevoli colleghi, ha davanti a sé la più difficile delle prove: riformare se stesso, dettare nuove regole per l’elezione del futuro Parlamento, rinnovare l’intero edificio istituzionale. Si tratta di una prova alla quale non possiamo sottrarci”
Giorgio Napolitano, presidente della Camera (1° giugno 1992)
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