Mentre i vincitori Matteo Salvini e Luigi Di Maio si apprestano alla difficile trattativa per la formazione del governo, gli “sconfitti” si apprestano per ora a una difficile conta interna per l’elezione dei capigruppo: non solo il Pd, sconfitto alle urne, ma anche Forza Italia, sconfitta dal leader della Lega nella partita interna per la leadership del centrodestra. Tanto che, cambiato schema di gioco con l’elezione dei presidenti delle Camere lungo l’asse Salvini-Di Maio con la resa di fatto di Silvio Berlusconi, i capigruppo uscenti degli azzurri Renato Brunetta (Camera) e Paolo Romani (Senato) si apprestano a lasciare il testimone a due donne.
Forza Italia verso la nomina di Gelmini e Bernini
A Montecitorio dovrebbe essere eletta Maria Stella Gelmini, a Palazzo Madama Anna Maria Bernini, anche come compensazione della mancata elezione a presidente del Senato per via del braccio di ferro tra Salvini e Berlusconi sul nome di Romani, candidato iniziale del Cavaliere (come si ricorderà nel week end il leader della Lega ha portato i suoi senatori a convergere su Bernini per superare l'impasse dovuto al veto dei pentastellati su Romani, e a quel punto Berlusconi ha favorito la convergenza su un terzo nome, quello appunto di Maria Elisabetta Casellati, per rendere meno eclatante la vittoria di Salvini).
Braccio di ferro nel Pd
Più complessa la situazione interna ai gruppi parlamentari del Pd, dove l’elezione del capigruppo avviene per regolamento interno a scrutinio segreto a differenza di Forza Italia che ha sempre votato per acclamazione il candidato indicato da Berlusconi. L’ex segretario Matteo Renzi, che sulla carta controlla ancora la maggioranza dei gruppi (oltre 70 su 112 alla Camera e 32 su 56 in Senato), è fermo su Lorenzo Guerini a Montecitorio e il fedelissimo Andrea Marcucci a Palazzo Madama. Mentre sul nome di Guerini non sembrano esserci particolari problemi, anche perché il coordinatore della segreteria dem è da sempre pontiere tra le varie anime del partito, le mire degli antirenziani si concentrano in queste ore su Marcucci. La conta di domani potrebbe dunque riservare delle sorprese, anche se sulla carta i non renziani non hanno i numeri: 10 franceschiniani compreso il capogruppo uscente Luigi Zanda, 3 orlandiani, 3 del ministro Graziano Delrio, 2 del “reggente” Maurizio Martina, che in queste ore sta sollecitando tutti a trovare una candidatura alternativa più unitaria.
Il disagio dem per l’Aventino di Renzi
Il possibile patto prevede, oltre all’elezione di Marcucci come presidente del gruppo, la scelta dell'orlandiana Monica Cirinnà come vicepresidente del gruppo e l'elezione di Anna Rossomando, anche lei orlandiana, a vicepresidente del Senato (per gli uffici di presidenza la votazione è prevista giovedì). Ma è chiaro che la scelta dei capigruppo dem, che dovranno salire al Colle con il segretario reggente Martina per le consultazioni, è importante in vista della formazione del governo. Perché molti anti-renziani sperano nel fallimento della trattativa tra Lega e M5S per far rientrare il Pd in gioco superando l’Aventino per ora imposta da Renzi. Tuttavia qualsiasi scelta diversa dall’opposizione rischierebbe di spaccare il Pd: sia l’eventuale appoggio dem a un governo pentastellato, che non avrebbe i numeri per la ferma opposizione dei renziani, sia un pur sempre possibile governo di scopo o del presidente.
Rischio conta nel voto segreto
Sia pure con diverse possibili soluzioni e ricette e da punti di vista politici differenti, in queste ore il disagio nei confronti della scelta ufficiale “noi all'opposizione” dettata da Renzi all'indomani del voto e mantenuta, anche se sembra senza troppa convinzione da Martina, sta crescendo: tutte tensioni sotterranee che rischiano appunto di scaricarsi già domani nel voto segreto per l'elezione dei capigruppo spaccando il Pd a meno di un mese dal voto.
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