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M5S-Lega, la convergenza dei programmi oltre lo stallo

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le trattative dietro le quinte

M5S-Lega, la convergenza dei programmi oltre lo stallo

A cinque giorni dall’avvio delle consultazioni al Colle, slittato al 4 aprile, oltre allo stallo c’è di più: una trama fittissima di incontri, telefonate e confronti sui programmi che vedono come interlocutori privilegiati Matteo Salvini e Luigi Di Maio, ma che non si fermano a loro. È la rete degli sherpa, il gruppo dei pontieri che ridisegna i “cerchi magici” aggiornandoli alla nuova legislatura emersa dal voto del 4 marzo. Da loro giungono segnali concilianti. Perché, nonostante le schermaglie, resta quello Lega-M5S l’asse più solido, rodato nella trattativa sulle presidenze delle Camere e forte di sintonie programmatiche esplicite su tre temi bandiera: tagli alle tasse, superamento della legge Fornero e sicurezza.

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Per la Lega il frontman è il capogruppo Giancarlo Giorgetti, il bocconiano gradito anche ai democratici, in Parlamento dal 1996, tra i dieci saggi scelti dall’ex presidente Napolitano per le riforme. «Il Gianni Letta del Carroccio», sorride un parlamentare del M5S. Consapevole sia che Letta gioca ancora un ruolo di primo piano nella diplomazia azzurra - che non vedrebbe di cattivo occhio un governo istituzionale - sia che «sono spuntati anche i Gianni Letta del M5S». Più giovani, ma abili. Il primo è Vincenzo Spadafora, ex presidente Unicef Italia passato nel 2016 a occuparsi delle relazioni istituzionali di Di Maio e adesso deputato: l’uomo ombra del capo politico del Movimento, ben introdotto in Vaticano. È lui, con il neodeputato Emilio Carelli, la new entry nella stanza dei bottoni M5S, che già annovera i fedelissimi Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede e i capigruppo Danilo Toninelli e Giulia Grillo. In buoni rapporti con un altro leghista di peso: quel Massimiliano Fedriga lanciato di gran lena verso la presidenza del Friuli-Venezia Giulia grazie al passo indietro di Silvio Berlusconi sul candidato di Fi. Ottenuto sempre grazie alla mediazione di Giorgetti.

In Forza Italia, oltre a Letta, l’indebolimento del duo Romani-Brunetta si è tradotto nel rafforzamento speculare del ruolo del senatore Niccolò Ghedini, l’avvocato padovano molto vicino politicamente alla presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati. È stato il loro gioco di sponda che ha permesso di ricucire con il Carroccio nella notte di venerdì a Palazzo Grazioli. Verso i Cinque Stelle, fatto salvo il rapporto di amicizia pregresso tra Gianni Letta e Carelli, va segnalato per Fi anche l’atteggiamento dialogante della neocapogruppo a Palazzo Madama, Anna Maria Bernini. Ma il veto dei pentastellati sulla «riabilitazione» di Berlusconi resta: l’idea di un governo insieme, che pure tenta i mediatori, rimane indigesta alla base e all’ala sinistra del Movimento. Tanto che persino il nuovo giro di incontri proposti dal M5S per stamattina è stato fissato a livello dei capigruppo: non ci sarà alcun faccia a faccia Di Maio-Berlusconi.

Il Pd, compatto sulla linea renziana, aleggia sullo sfondo dei battibecchi sui numeri. «Gli servono 90 voti. Da solo dove va?», ha detto Salvini di Di Maio. «Vuole fare il governo con i 50 voti del Pd di Renzi in accordo con Berlusconi? Auguri!», ha replicato il leader M5S. Non è esiguo il numero di pentastellati che ancora confida in un’apertura dei dem, nonostante lo scontro sugli uffici di presidenza e il “no” del reggente Martina alla riunione dei capigruppo. Gli unici a non aver escluso un appoggio esterno a un governo M5S rimangono Francesco Boccia e Michele Emiliano. «C’è bisogno di tempo, occorre capire cosa accadrà in assemblea», ragiona un altro esponente Pd non ostile. «Sui temi sono molti i punti di contatto: misure di contrasto alla povertà, ambiente, energie rinnovabili, industria ecosostenibile».

Al momento, però, gli unici team economici a lavorare in parallelo sono quelli di Lega e M5S: da un lato ancora Giorgetti, con l’alfiere della flat tax Armando Siri; dall’altro lato Laura Castelli e Lorenzo Fioramonti, che triangolano con i ministri ombra Roventini e Tridico. Ma c’è un altro nome che si muove sulla partita chiave delle nomine: il neodeputato milanese Stefano Buffagni. Un altro anello di collegamento con il mondo produttivo del Nord.

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