Uno degli ultimi atti europei del governo uscente sarà difendere l’attuale assetto della politica di coesione. Giovedì, a Bruxelles, si tiene il Consiglio Affari generali Coesione e in quell’occasione il ministro italiano Claudio De Vincenti ribadirà la posizione italiana molto critica verso alcune ipotesi di riforma che si inserirebbero nel Quadro finanziario pluriennale post 2020. Tesi, va detto, condivise con la Conferenza delle Regioni, l’Anci, il Comitato delle Regioni europeo e con i parlamentari europei. Difficile immaginare già adesso se il prossimo governo correggerà la linea, al momento si può dire che alla riunione tenutasi qualche tempo fa tra De Vincenti e gli europarlamentari italiani di tutti i gruppi non sono emerse linee contrarie.
Per l’attuale esecutivo, «alla coesione, nonostante la Brexit, vanno garantite risorse consistenti, adeguate a coinvolgere tutte le Regioni europee, perché in tutte vi sono aree a ritardo di sviluppo, seppur in misura naturalmente differenziata». Il ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno entra poi nel merito di una questione cruciale, la riserva di efficacia che vale circa il 6% dei fondi e che oggi è nel raggio d’azione, cioè nella disponibilità, dei singoli Stati membri. L’impressione è quella di un disegno per centralizzare questo tesoretto e riassegnarlo verso Paesi ancora al palo nelle riforme, come i nuovi entranti. «Per noi - dice - risulta inaccettabile qualsiasi clausola che sottragga le risorse della cosiddetta “riserva di efficacia” ai programmi di coesione dello Stato membro per riassegnarle da Bruxelles ad altri Stati membri che si impegnino in riforme strutturali: finirebbe per premiare chi non ha ancora realizzato riforme, con un effetto di incentivo perverso; costituirebbe un “non sequitur” logico in quanto per l’Europa gli investimenti che colmano ritardi di sviluppo sono importanti quanto le riforme strutturali». L’Italia è invece favorevole a rinnovare anche per il post 2020 il sistema delle “condizionalità ex ante” in termini di riforme che devono essere soddisfatte in anticipo, appunto, per poter utilizzare i fondi.
Al terzo punto nella posizione che De Vincenti sosterrà giovedì c’è l’esclusione del cofinanziamento nazionale dal calcolo del deficit ai fini del Patto di stabilità e crescita. Infine, aggiunge il ministro, «è ora di introdurre una condizionalità generale legata al rispetto della solidarietà intraeuropea in materia di gestione dei flussi migratori: il bilancio europeo è espressione della solidarietà tra gli Stati membri, non può essere utilizzato da chi si sottrae agli obblighi di solidarietà».
Facciamo un passo indietro. Ad ottobre l’Italia definì una sua prima posizione. Nel documento si sottolineavano sette ambiti sui quali concentrare fondi strutturali e fondi di investimenti europei nella Ue post 2020: innovazione/competitività; infrastrutture digitali, energetiche e di trasporto; mitigazione dei cambiamenti climatici; contrasto alla disoccupazione; lotta alla povertà e all’esclusione sociale; istruzione e formazione; miglioramento del contesto istituzionale.
«La politica di coesione - si legge nel paper - deve essere confermata e rilanciata come una priorità dell’Unione», assicurandole «risorse adeguate anche nel post 2020».
Dopo di allora, la Commissione ha pubblicato il 6 dicembre il pacchetto sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria e il 14 febbraio il documento di discussione sul Quadro finanziario pluriennale. Giovedì si proverà a tirare le fila, l’Italia ritiene che ci sia un ampio supporto alle proprie posizioni, come dimostra l’appoggio del Comitato delle Regioni europeo, ma l’obiettivo ovviamente è portare su questa convergenza anche le scelte finali della Commissione.
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