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Dossier Nel design i volti del nostro tempo

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    Dossier | N. 16 articoliRapporto Design

    Nel design i volti del nostro tempo

    Un flusso continuo di informazioni, una iperproduzione di oggetti, la crescente offerta di modi di essere e muoversi, il moltiplicarsi di connessioni, in una tale velocità che sfiora l’immediatezza. «Nessuno può recepire tutte le più recenti scoperte scientifiche, nessuno può fare previsioni su quale sarà l’assetto dell’economia globale nei prossimi dieci anni, e nessuno ha uno straccio di indizio di dove ci stiamo dirigendo con così tanta fretta», scrive lo storico Yuval Noah Harari nel suo libro “Homo Deus”, titolo del 2015 molto apprezzato e discusso da chi prova a immaginare il futuro.

    «Quel che è certo è che stiamo assistendo a un cambiamento antropologico dell’uomo contemporaneo - spiega Michele De Lucchi, protagonista dell’architettura e del design italiano, oggi direttore di Domus -. Non sta cambiando solo la nostra maniera di vivere, ma anche quella di intendere la vita. Un fenomeno che produce sugli architetti una grande trasformazione e genera una forte spinta all’evoluzione».

    Prima artefice di questo cambiamento epocale è la tecnologia, che permea tutte le sedi del vivere, dalla casa al luogo di lavoro, modellandole e fondendole. «I luoghi di lavoro sono vissuti sempre meno come spazi dove restare seduti alla scrivania e sempre più come occasioni per incontrarsi, discutere, elaborare pensieri alternativi e soluzioni creative - prosegue De Lucchi -. Questo cambiamento si ripercuote anche sugli spazi della città e sulle case, che diventano sempre più piccole perché la città offre sempre più spazi da esplorare e condividere».

    Come la società teorizzata da Zygmunt Bauman, anche la casa diventa fluida, un network di oggetti in comunicazione fra loro, immersi in spazi dove si spostano, si compongono, parlano anche con chi abita la casa grazie all’intelligenza artificiale: «Questa tecnologia sta veramente cambiando il rapporto dei fruitori con gli oggetti e gli spazi - nota Luciano Galimberti, presidente di Adi, l’Associazione per il disegno industriale -. In realtà definirci “fruitori” è riduttivo, perché ora entriamo in relazione con l’oggetto, e cambia anche il rapporto di responsabilità del designer con l’oggetto. In questa evoluzione il design italiano ha un vantaggio rispetto a quello di altri Paesi, come ad esempio la Francia e la Germania, poiché da sempre ha cercato di costruire un rapporto, una narrazione, fra l’uomo e le cose». Il recente arrivo sul mercato italiano di Google Home, il primo “smart assistant” domestico dei big dell’hi-tech, a cui seguiranno quelli di Apple e Amazon, secondo Galimberti determina anche una nuova domanda: «Nell’era dell’internet delle cose, chi avrà il ruolo più importante nel design, chi disegna l’oggetto o chi lavora sulla sua intelligenza?».

    Domande come questa pervadono il dibattito contemporaneo, non solo nel design, e non raramente generano ansie. Per difendersi, allora, ci si rivolge al passato, all’unica dimensione temporale di cui si ha totale controllo. Un rifugio nella nostalgia, nelle forme conosciute e pertanto rassicuranti: «C’è anche un ritorno alle origini del design contemporaneo, quello degli anni 50 e 60, a una dimensione più poetica», prosegue Galimberti. «La casa è il luogo dove chiudersi e sentirsi se stessi, esprimersi liberamente», nota De Lucchi. La fascinazione per il passato passa anche dai colori: «Le nuove palette alternano tinte neutre con tonalità calde riprese dagli affreschi e dai dipinti antichi - aggiunge l’architetto Giulio Cappellini -: colori morbidi, che vanno dagli arancio spenti ai bordeaux e a varie tonalità di verde per gli interni».

    Il verde è anche il colore simbolo della rinnovata attenzione all’ambiente, trend che negli ultimi anni non ha esaurito la sua energia e anzi si è arricchito, anche grazie alle nuove tecnologie in grado di modellare i processi produttivi secondo i principi dell’economia circolare. In azienda si può produrre non solo per far reddito, ma per generare ricchezza anche per il territorio e la società. Si rinnova il focus sull’uomo e sul suo rapporto con le risorse del pianeta. «Sta crescendo l’attenzione per tutte le fasi di vita del prodotto, soprattutto per lo smaltimento al termine del suo ciclo - aggiunge Galimberti -. È cambiato lo sguardo dell’industria dell’arredo e del design sul prodotto, che non deve essere più solo bello, ma anche e soprattutto “buono”. Si sta consolidando il passaggio da una sorta di relativismo confortevole, in cui tutto andava bene ed era costruito in funzione di un piano di puro marketing, a una scelta fra bene e male, di responsabilità civile».

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