Da una parte l'apertura del segretario reggente del Pd Maurizio Martina, dall'altra la chiusura del forno con la Lega da parte del leader del M5s Luigi Di Maio. Un uno-due che apre di fatto il tavolo della trattativa tra democratici e pentastellati nonostante resti, forte e chiaro, il no dell'ex leader Matteo Renzi a un governo politico con i pentastellati. Di certo la mossa del Capo dello Stato Sergio Mattarella di sondare subito il canale M5s-Pd tramite l'incarico esplorativo al presidente della Camera Roberto Fico ha di fatto scongelato i dem, ma li ha anche spaccati. La delegazione presentatasi all'appuntamento con Fico è infatti divisa quasi a metà: da una parte il presidente del partito Matteo Orfini e il capogruppo al Senato Andrea Marcucci, fermi sulla linea del “no all'accordo con i 5 stelle” dettata da Renzi; dall'altra il reggente Martina, che come il ministro Dario Franceschini è favorevole ad andare a vedere le carte senza pregiudizi e senza veti preventivi; in mezzo il capogruppo alla Camera Graziano Delrio, e con lui il coordinatore della segreteria dem Lorenzo Guerini.
L’allargamento dell’area “governista”
E non c'è dubbio che il partito governista si sta allargando in queste ore. Oltre alla moral suasion dei “padri” Romano Prodi e Walter Veltroni va registrata anche la posizione di un dirigente come Piero Fassino, ultimo segretario dei Ds e negli ultimi mesi molto vicino a Renzi: «È un dovere del Pd non sottrarsi a questa verifica portando al confronto le proposte più utili per dare al Paese un governo». E c'è anche chi in Parlamento si spinge a prefigurare un esecutivo con Di Maio premier e ministri “tecnici” di area dem…
Il no di Renzi
Ma resta il no fermo di Renzi, si diceva, che sulla carta controlla la maggioranza dei gruppi (circa 70 su 111 alla Camera e oltre 30 su 52 in Senato) e che appare determinato ad andare fino in fondo: «La linea Martina-Franceschini porta a una conta nel Pd, a una rottura, porta alle elezioni anticipate», si sfoga in serata con i suoi. Numeri alla mano, dato il margine ristretto che avrebbe un governo M5s-Pd in Senato (161 più i 4 senatori di Leu e i 5 delle Autonomie), quello di Renzi è comunque un no che può diventare interdizione. La conta ora si sposta in direzione, probabilmente mercoledì 2 maggio. Un tempo rischiosamente lungo per i renziani, che potrebbero veder cambiare gli equilibri interni ora in loro favore: Renzi e Orfini hanno rispettivamente 117 e 8 voti, quindi 125 “no al M5s” su 205 componenti. Una maggioranza abbastanza sicura anche senza i 3 di Delrio, i 20 di Franceschini, i 9 di Martina e i 2 veltroniani (la minoranza di Orlando ed Emiliano ha rispettivamente 32 e 14 voti).
L’ipotesi di una scissione “alla Macron”
Renzi e i suoi contano di vincere questa prima conta, ma certezze da qui a mercoledì non ve ne sono. E le parole dell'ex leader sulla “rottura” del Pd e sul rischio elezioni anticipate fanno prefigurare uno scenario drammatico, quello della scissione e della formazione di un nuovo partito europeista alla Macron se alla fine un governo M5s-Pd dovesse in qualche modo partire.
© Riproduzione riservata