Per la prima volta dopo quasi due mesi dal voto, al Quirinale si comincia a ragionare sulla peggiore delle ipotesi: quella di un ritorno al voto a breve. Sin dall’inizio è stata un’opzione tolta dal tavolo da Sergio Mattarella con l’idea chiara che i partiti, in Parlamento, dovessero trovare accordi di maggioranza come prescrive la nuova legge elettorale prevalentemente proporzionale. E dunque in assenza di cambiamenti a queste regole, nuove elezioni in tempi rapidi sarebbero state solo una fuga dalla realtà senza alcuna possibilità di un esito diverso. Ora però dopo due giri di consultazioni, dopo l’esplorazione della presidente del Senato fallita, dopo i tira e molla Di Maio-Salvini conclusi con uno strappo che sembra definitivo, quello di Roberto Fico con il Pd sembra davvero l’ultimo treno. Non solo perché è l'ultimo incastro politico rimasto per trovare una maggioranza ma anche perché ieri evaporava sempre di più l’exit strategy di un Governo istituzionale. Chi lo voterebbe?
Ieri hanno messo in chiaro i loro “no” a un Esecutivo tecnico sia Salvini - che non intende dare sponde a Berlusconi o al Colle - sia Di Maio che lo usa come arma di pressione sul Pd, ma il tema è che un tale Governo non avrebbe la fiducia da una maggioranza parlamentare. È verosimile che nasca solo con l’appoggio di Berlusconi e Renzi? Cioè dei due perdenti? Certamente no. E dunque, se restano queste le condizioni dopo l’ennesimo fallimento di Fico con il Pd, al Colle sanno bene che un Governo di emergenza nascerà solo per morire in fretta. Senza una solida sponda politica può al massimo fare da “ponte” per un voto subito dopo l’estate visto che i tempi per le urne entro giugno sono scaduti. La prima data utile sarebbe a metà settembre. Finora Mattarella sta facendo di tutto pur di evitare questo scenario, che vorrebbe dire recare al Paese il danno di una perdita di tempo di un anno, ma i partiti – fin qui – non gli stanno dando margini.
E adesso questo tentativo del presidente Fico arriva alla fine di un percorso nel quale c’è un vantaggio tattico per il Pd, quello di mettere sotto gli occhi degli italiani l’incapacità di Salvini e Di Maio, ma c'è pure la pressione di essere l’ultima occasione per dare uno sbocco positivo alla crisi. Ecco, a questa pressione di dover essere l’ultimo partito a dire “no”, si unisce quella di andare verso il voto che per il Pd vuol dire auto-punirsi. E arrendersi a un’ulteriore perdita di consensi e di seggi. Senza contare che le spaccature di queste ore tra renziani e resto del partito sul fare o no una trattativa con i 5 Stelle, diventerà una guerra all’ultimo sangue quando si tratterà di rimettersi a fare le liste. E qui sta il punto. Perché con il voto a settembre ha da perdere soprattutto Renzi che ha meno tempo per tornare a guidare il Pd davanti alla scena, non solo dietro. Già oggi non ha più la maggioranza in assemblea ed è questa la ragione perché è stata rinviata.
Ora lo scontro passa in direzione, con la consapevolezza che non c’è solo una posizione politica da sostenere o contrastare sui 5 Stelle, ma che le lacerazioni di oggi diventeranno nuove rotture domani se si dovesse votare a settembre.
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