L’aut aut lanciato ieri dal presidente della Repubblica Mattarella fra la fiducia a un “governo di servizio” o il voto in autunno arriva mentre anche l’economia reale manda segnali di indebolimento del quadro, confermato ieri dall’indice anticipatore dell’Istat che per il terzo mese consecutivo mostra uno scenario di minore intensità della crescita. Mentre il corto-circuito politico rischia di appesantire il conto della legge di bilancio e rende difficile trovare davvero la strada anche per il programma minimo con il blocco dell’Iva.
Il peggioramento più significativo arriva dall’indice composito sul clima di fiducia delle imprese, influenzato dai giudizi negativi del settore del commercio e dei servizi. Il manifatturiero, poi, vede prospettarsi un calo degli ordinativi nei prossimi mesi. Segnali che potrebbero rafforzarsi con un congelamento dei piani di investimento se si consolidasse l’aspettativa di uno stop agli incentivi dell’iper e del super-ammortamento, che senza un intervento in manovra scadrebbero a fine anno. «Dobbiamo prepararci a questa fase di rallentamento potenziale dell’economia mondiale», ragiona il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, all’interno di un Paese che «cresce meno degli altri, e ha deficit di competitività importanti». E «senza una riforma elettorale andare al voto equivale a trovarsi nella stessa situazione - chiosa il leader degli industriali -; e nelle consultazioni speriamo che si passi a una seconda fase, e cioè dalle tattiche ai contenuti».
Gli indici Istat di ieri seguono alla stima flash di qualche giorno fa sul Pil che indica già un tendenziale all’1,4%, cioè un decimale sotto alle previsioni del Def. Un altro problema possibile per la manovra. La scadenza del Def, su cui oggi iniziano le audizioni alle commissioni speciali con l’intervento del ministro dell’Economia Padoan, è stata gestita limitandosi al quadro tendenziale, cioè alle prospettive di finanza pubblica a politiche invariate. Ma l’assenza di “programmi” non può durare in eterno: entro fine settembre va inviato alla Commissione europea il documento programmatico di bilancio (il Dpb), subito dopo aver approvato la Nota di aggiornamento al Def. Con un voto a settembre, ipotesi alternativa in caso di «no» della maggioranza del Parlamento al “governo di tregua”, queste scadenze diventerebbero difficili da affrontare, anche senza un peggioramento del quadro di finanza pubblica indicato dal fabbisogno. Il rischio di esercizio provvisorio sarebbe elevatissimo. Settembre, poi, secondo il calendario attuale rappresenta anche l’ultimo mese degli acquisti diretti di titoli di Stato da parte della Bce per 30 miliardi al mese (quasi 4 miliardi per l’Italia).
Sul programma pesa anche l’incognita della possibile richiesta europea di aggiustamento dei conti, dopo che la correzione strutturale prodotta dalla manovra 2018 è stata definita dal commissario agli Affari economici «pari a zero», contro l’impegno di ridurre il deficit di tre decimali (poco più di 5 miliardi). Le obiezioni della commissione rischiano di scaricarsi sulla manovra d’autunno, oltre a rendere al momento impossibile la previsione di nuovi spazi di flessibilità per l’anno prossimo. Al momento, però, l’accordo fra i partiti per bloccare gli aumenti Iva da 12,4 miliardi in calendario dal 1° gennaio prossimo punta in maniera preponderante su nuovo deficit (si veda Il Sole 24 Ore del 4 maggio), anche perché senza una maggioranza solida è difficile pensare a grandi programmi alternativi. Senza nuovi sconti da Bruxelles, però, bisogna trovare coperture alternative con nuove entrate o tagli di spesa.
È una sfida difficile non solo per l’incagliato quadro politico, ma anche perché tagli o maggiori entrate non devono colpire la crescita italiana, che rimane la più modesta dell’Unione insieme a quella della Gran Bretagna. Gli effetti della ripresa continuano a riflettersi sulle entrate fiscali che nei primi tre mesi dell’anno, secondo il bollettino diffuso ieri dal dipartimento Finanze, sono cresciute del 2,8% (2,6 miliardi) grazie soprattutto all’Irpef di lavoratori e pensionati e all’Ires. E il legame tra performance economica e fisco diventa evidente alla voce «imposta di registro», che fa segnare un +12,6%: un balzo che va d’accordo con l’indice di fiducia del settore delle costruzioni, l’unico in positivo dopo che nel terzo trimestre 2017 l’andamento dei permessi di costruire era cresciuto nel comparto residenziale.
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