Da quanti numeri partirebbe il governo «neutrale» che il presidente della Repubblica vorrebbe mettere in campo per scongiurare un ritorno immediato alle urne e guidare il Paese fino all’inizio del 2019? Se ci si attiene alle dichiarazioni pubbliche dei leader politici di questi lunghi giorni di stallo, comprese le ultime di Salvini e Di Maio, la maggioranza in Parlamento appare per ora una meta lontana: contrari a una soluzione del genere si sono sempre espressi sia Luigi Di Maio che Matteo Salvini, vale a dire i leader rispettivamente del primo e secondo gruppo parlamentare alla Camera e del primo e terzo al Senato.
Certificato il mancato accordo tra le forze politiche semi-vincitrici delle elezioni del 4 marzo, l’esecutivo di «servizio» immaginato dal Quirinale per evitare l’esercizio provvisorio e l’aumento dell’Iva e gestire il passaggio alle prossime elezioni, può contare certamente sul sostegno del Partito democratico. I democratici hanno 111 deputati e 52 senatori. A loro si aggiungerebbero gli altri pezzi del centrosinistra: +Europa (tre deputati e, al Senato, Emma Bonino) e Civica popolare (componente di Beatrice Lorenzin con quattro deputati). Alla fine anche Liberi e uguali (14 deputati, quattro senatori) potrebbe offrire il proprio sostegno.
Una fiducia al primo governo di questa legislatura arriverebbe pure dalle minoranze linguistiche (quattro deputati) e dalle Autonomie (otto senatori). Nella componente Maie (eletti all’estero) ci sono cinque deputati espulsi dal Movimento 5 Stelle: probabile il loro no al governo di «tregua». Al Senato i due senatori (il socialista Riccardo Nencini e Ricardo Merlo) voterebbero invece la fiducia.
Nel centrodestra solo Forza Italia si potrebbe dimostrare sensibile al richiamo del Colle. Per il leader Silvio Berlusconi sarebbe l’unica possibilità di rinviare il ritorno immediato alle urne, prospettiva che non piace affatto al Cavaliere. «Non ci spaventa il voto ma l’estate non aiuta, meglio l’autunno» hanno fatto sapere gli azzurri che, con un ipotetico sì, porterebbero in dote 105 deputati (a cui si aggregherebbero pure i tre centristi di “Noi con l’Italia”) e 61 senatori.
Tirate le somme, i numeri per il «governo del Colle» non ci sono. Alla Camera appena 245 favorevoli rispetto alla soglia per la maggioranza a quota 316. Al Senato ci si ferma invece a quota 131 sì. Lontano dal quorum che è 158. Se, come i calcoli lascerebbero prevedere, il governo del presidente non ottenesse la fiducia del Parlamento, si aprirebbe la strada del voto anticipato. Se si votasse a luglio (il 22 sembra la data più probabile) sarebbe la prima volta per le elezioni in questo mese. Ma sarebbe anche la prima volta che una legislatura si conclude anticipatamente senza aver prodotto un governo.
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