Come convivere felicemente con un elefante. È questo il tema sul quale Bankitalia è intervenuta nell’audizione sul Def, mettendo in evidenza il grande rimosso dell’intera discussione post elettorale fra i partiti. Il vicedirettore generale, Luigi Signorini, ha infatti ricordato che il debito pubblico italiano nell’eurozona è inferiore solo a quello greco e che supera rispettivamente di 68, 35 e 34 punti percentuali quello dei suoi vicini di casa, ovvero Germania, Francia e Spagna.
L’esponente di via Nazionale si è limitato a sottolineare che per i paesi molto indebitati, pur solvibili, il rischio di una crisi di liquidità è sempre in agguato. Magari per tensioni che provengano dall’esterno, se non per i timori sull’Italia innescati da un quadro di crescente instabilità politica. In buona sostanza, quando l’ammontare di carta da collocare sul mercato sfiora i 400 miliardi l’anno, non ci si può permettere di ignorare quel termometro della fiducia degli investitori che è rappresentato dallo spread. E negli ultimi giorni il differenziale fra bund e titoli pubblici italiani ha rialzato la testa.
Per la gestione del debito, rassicura in ogni caso Bankitalia, non c’è alcun rischio imminente da connettere alla prossima fine del Qe. Ma tenere conto della capacità di assorbimento dei mercati è obbligatorio. E riportare il debito pubblico su un percorso di «stabile e duratura riduzione» è indispensabile.
Si può fare, si deve fare. Seguire la bussola dell’avanzo primario per ridurre il debito è un obiettivo percorribile, spiega Signorini, perché i tassi d’interesse sono ancora molto bassi e tali resteranno a lungo e la congiuntura interna e internazionale è ancora favorevole. Inoltre, la vita media residua del debito pubblico è superiore ai sette anni: si è quindi perfettamente in grado di contenere gli effetti dell’impatto di eventuali aumenti dei tassi post-Qe e non a caso il Def stima che di qui a due anni il differenziale fra onere medio del debito pubblico e tasso di crescita dell’economia resterà negativo.
Per tutti questi motivi, sarebbe il momento migliore per assestare un colpo importante alla riduzione dello stock, magari accrescendo il ritmo della vendita di asset pubblici, che negli ultimi anni è stato pari soltanto allo 0,2 per cento. Inoltre, fa capire Bankitalia, non è il caso di indebolire quello che in questi anni è stato uno dei punti di forza della finanza pubblica italiana, ovvero il contenimento della spesa previdenziale, garantito attraverso la riforma Fornero. Quanto alla crescita economica, da potenziare, tra le tante ragioni, perché la riduzione del rapporto fra debito e pil dipende anche dal denominatore, il consiglio di via Nazionale è una ricomposizione della spesa che punti sugli investimenti pubblici, in drastico calo dal 2010 ad oggi.
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