Poco più di 60 giorni, dal 4 marzo al 10 maggio. Nel lasso di tempo che va dalle elezioni Politiche al recentissimo “ritorno di fiamma” dell'intesa M5S-Lega in vista di un Esecutivo giallo-verde il candidato premier e capo politico pentastellato Luigi di Maio ha consumato diversi dietrofront su alcuni capitoli chiave dell'agenda di governo grillina, alcuni dei quali ribaditi più volte nel corso della campagna elettorale.
Cambio di linea evidente anche nei rapporti con il leader di Forza Italia, passato da “male assoluto” a persona gradita, soprattutto se pronto all’appoggio esterno ad un governo Lega-5Stelle.
Referendum sull’euro
Uno dei passi indietro più clamorosi riguarda il referendum popolare per promuovere l'uscita dell'Italia dall'area Euro. Proposto la prima volta nel marzo 2017 in un intervento alla stampa estera, il referendum è prima scomparso dai 20 punti del programma di Governo M5S pre elezioni, liquidato come una «estrema ratio, che spero di non dover usare» (Di Maio a “Porta a Porta”, gennaio 2018), poi è stato definitivamente “superato” dalle parole del leader M5S al termine del primo giro di consultazioni con il capo dello Stato (5 aprile): «L’Italia resterà alleata dell'Occidente nel Patto Atlantico come nell'Unione europea e monetaria».
Tetto del 3%: da «stupida austerity» a tema di confronto
Altro dietrofront o «superamento» riguarda il tetto del 3% nel rapporto tra deficit-Pil imposto dalle regole di bilancio europee. Rispettarlo, promuovendo politiche di austerity che permettano di tenere l'Italia al di sotto del “tetto” significa portare avanti politiche pro-Europa, ignorarlo, promuovendo politiche di sforamento sistematico, significa sposare la linea del populismo anti Bruxelles. Su questo fronte Di Maio prima ha annunciato la fine dell'«austerity stupida e cieca», con il M5S pronto a scegliere «gli italiani» se costretto a scegliere tra i «diritti» dei connazionali e «parametri europei» (febbraio 2018). Ad urne chiuse, a marzo, sempre davanti alla Stampa estera, parole ben più rassicuranti sull'ancoraggio del Movimento in Europa: «Tutta l'Europa riflette su come cambiare e io non ho pregiudizi, noi non vogliamo avere niente a che fare con gli estremisti».
Cambiare idea su Berlusconi
Cambiare idea non è un reato, ma talvolta sorprende la rapidità dell'evoluzione. Nel caso del leader di Forza Italia Luigi Di Maio è passato dal veto assoluto sull'appoggio azzurro e sulla figura politica dell Cavaliere annunciato a “Di Martedì” alla viglia del primo giro di consultazioni di aprile - atteggiamento che ha di fatto condizionato gli ultimi due mesi della scena politica - all'apertura senza precedenti maturata il 9 maggio. Non c'è più «un veto su Berlusconi», ha spiegato Di Maio, ma una «volontà di dialogare con la Lega». Lo stallo politico? Il responsabile, «non è Berlusconi ma gli altri»: in primis Salvini, «che ha scelto il Cav al cambiamento» e poi Renzi «che ha ingannato partito e opinione pubblica, prima con la possibilità di un'apertura e poi ha fatto saltare tutto». Et voilà incassato il via libera di Berlusconi. Che non voterà la fiducia ma oggi consente ai due leader di provare a siglare un'intesa.
La nuova linea “pro-Nato”
Le ultime settimane hanno permesso di “apprezzare” anche il riposizionamento del M5S da posizioni anti-Nato degli anni passati alla sostanziale fedeltà atlantica pro-Nato emerse a metà aprile in occasione del dibattito in Aula alla Camera sulla situazione in Siria. «Per me - spiegò allora il candidato premier Luigi Di Maio - il faro rimane l'articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra. Bene ha fatto Gentiloni a non partecipare all'attacco, bisogna continuare con la diplomazia. Troverà sempre me contrario chi vuole approfittare della Siria per sganciarci dagli alleati storici. Non devono essere casus belli per riposizionare l'Italia». Una posizione che evidenzia da un lato la definitiva (?) archiviazione delle posizioni passate, dall’altro la distanza con la linea pro-Putin e pro-Russia da sempre sostenuta dal sempre più possibile alleato Matteo Salvini.
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