Il governo che si sta formando tra Cinque Stelle e Lega rappresenta le preferenze, seppure differenziate, del 51% degli elettori che hanno partecipato alle elezioni del 4 marzo scorso. È un governo del tutto legittimo che porta a compimento un processo di convergenza, tra le due forze politiche, che si era attivato ben prima della stessa campagna elettorale. Esse avevano condotto una opposizione distinta ma simile nella precedente legislatura, erano state il perno del movimento contro la riforma costituzionale nel referendum del 4 dicembre 2016. Con il contratto esse hanno deciso di fare un salto di qualità nella loro convergenza, dando forma programmatica al sovranismo italiano. Siamo di fronte a un cambiamento storico. Vediamo perché.
Per sovranismo occorre intendere una visione politica che afferma la necessità di riportare a casa cruciali prerogative di politica pubblica che erano state trasferite fuori casa. Il sovranismo del contratto combina due correnti politiche distinte, il nazionalismo e il populismo, siglando una alleanza tra di esse. L’alleanza sovranista (non solo in Italia) sta mettendo in radicale discussione la tradizionale distinzione politica tra sinistra e destra, spingendo verso una ristrutturazione imprevedibile del sistema dei partiti.
Eppure, la narrativa dominante (nei media e tra gli osservatori) continua a sostenere che il contratto rappresenti un accordo contro natura, in quanto i Cinque Stelle sono un movimento di sinistra (perché votato da giovani e disoccupati) mentre la Lega è un partito di destra (perché votato dal mondo delle partite Iva in sofferenza con lo stato). Un accordo che darà vita a un innaturale governo di “nuova” destra. In realtà il contratto è né di destra (anche se contiene la flat tax, seppure con due aliquote), né di sinistra (anche se introduce il reddito di cittadinanza). Bensì è l’espressione di una visione politica sovranista (che attraversa diversi schieramenti politici). È difficile capire il mondo se si tiene la testa girata sempre all’indietro.
Quali sono i punti del Contratto che riassumono il sovranismo italiano? Per rispondere, dobbiamo comprendere la logica che ispira il Contratto, piuttosto che considerare l’una o l’altra delle 30 voci che lo costituiscono. La logica è inequivoca. Le proposte di politica pubblica che il nuovo governo si impegnerà a perseguire non riconoscono la cogenza degli impegni assunti dal nostro Paese all’interno dell’Unione economica e monetaria (o Eurozona) a partire dal Trattato di Maastricht del 1992. Dopo la Guerra Fredda, abbiamo avuto diversi governi in Italia, ma nessuno ha mai messo in discussione i fondamentali del Paese. Il nuovo governo rifiuta quei fondamentali. Dopo tutto, solamente così sarà possibile, per i due partiti che lo costituiscono, onorare gli impegni (incompatibili con gli equilibri della finanza pubblica) che hanno preso con i loro elettori. Di qui, l’obiettivo di rinegoziare i Trattati europei (al fine di eliminare la costituzionalizzazione del Patto di stabilità e crescita), con il fine di «ritornare all’impostazione delle origini» che prevedeva cooperazione più che integrazione «tra gli Stati europei». Ecco cosa si vuole riportare a casa: la sovranità monetaria ritornando alla lira. Il 23 giugno del 2016, i britannici furono chiamati a rispondere alla domanda se volevano rimanere, oppure no, nell’Unione europea. Nel nostro caso, si cercherà di portarci fuori (o di farci buttare fuori) dall’Eurozona senza avercelo mai chiesto.
La ridefinizione del legame costituzionale tra l’Italia e l’Eurozona è accompagnata da una revisione dei cardini costituzionali della nostra democrazia parlamentare (e sono molti oggi i costituzionalisti che sollevano rilievi pesanti sul Contratto, come documentato a pagina 3). Il Contratto impegna infatti il governo a «introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo». Il Contratto impegna il governo a ridurre anche la libertà dei singoli parlamentari della sua coalizione, introducendo uno scrutinio preventivo delle loro interrogazioni e iniziative legislative, le quali, per essere calendarizzate, dovranno essere «oggetto di accordo tra i presidenti dei gruppi parlamentari delle due forze politiche». Dunque, i parlamentari della coalizione dipenderanno dai presidenti dei rispettivi gruppi parlamentari che, a loro volta, dipenderanno dai rispettivi capi di partito. Niente male per chi ha fatto una campagna per la difesa della Costituzione più bella del mondo neppure due anni fa . Sono sicuro che i 150 costituzionalisti, che stesero un vibrante documento di protesta contro la riforma costituzionale di allora, usato dai sovranisti di oggi per buttare giù il governo di ieri, saranno già al lavoro per aggiornare il loro documento. In attesa di leggerlo, vale la pena di osservare che tale concezione illiberale della democrazia è coerente con le trasformazioni illiberali portate avanti dai sovranisti di altri Paesi europei, come Viktor Orban o Jarosław Kaczyński. Una visione illiberale che incontra molta simpatia a Mosca, a sua volta ricambiata dai sovranisti europei. Tant’è che il futuro governo italiano si impegnerà a far sì che la Russia venga percepita «non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale potenzialmente sempre più rilevante. A tal proposito, è opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia».
Di fronte a una frattura di portata storica (come la vittoria dei sovranisti il 4 marzo scorso), l’europeismo non può limitarsi alla difesa dell’esistente. Né si deve sperare nelle divisioni (che sorgeranno) tra i due partiti sovranisti per ricostruire un nuovo asse sinistra-destra. Riportando, come vorrebbe il paternalismo democratico, i Cinque Stelle sotto la tutela del Pd e la Lega sotto quella di Forza Italia. In realtà i due partiti di governo si stanno già preparando ad agire «in modo corretto», cioè coordinato, nelle prossime scadenze elettorali, così da consolidare sia nelle regioni che nel prossimo Parlamento europeo il loro patto sovranista. Di fronte a questa sfida, invece di rimanere prigionieri di schemi del passato, gli europeisti farebbero meglio a coordinarsi sin da subito intorno a un programma e a leadership rinnovate. Proprio per le implicazioni europee che avranno le scelte del prossimo governo sovranista, occorre che fuori d’Italia si sappia che, in Italia, c’è un governo europeista alternativo. Si tratta non solo di rappresentare il 49% degli elettori che non hanno votato per i due partiti di governo il 4 marzo, ma di rendere esplicita la vera divisione politica di quelle elezioni.
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