Dai Cinque Stelle è arrivato il plebiscito sul contratto di governo: ha detto «sì» oltre il 94% dei 44.796 che hanno votato sulla piattaforma Rousseau (neppure un terzo degli iscritti). Adesso si attende il verdetto della base leghista chiamata a pronunciarsi oggi e domani nei mille gazebo allestiti dal Carroccio. Un referendum dall’esito altrettanto scontato, almeno a sentire gli umori emersi ieri al Consiglio federale presieduto da Matteo Salvini. Il segretario della Lega ha ottenuto il pieno mandato a portare avanti l’alleanza con i Cinque Stelle. Allo stesso tempo i leghisti hanno confermato il “no” a Luigi Di Maio premier, che sarebbe un boccone troppo indigesto per il partito. Soprattutto alla vigilia della consultazione nelle piazze.
Nessun veto, invece, a un altro presidente del Consiglio di area pentastellata. Che sia uno dei nomi vicini a Di Maio (da Bonafede a Fraccaro, passando per Carelli e Spadafora, fino a Crimi e Toninelli) oppure un “mister X” gradito al M5S («Un amico o un’amica del popolo», ha detto sibillino Di Maio ieri da Aosta) lo sapremo soltanto lunedì, quando i due leader saliranno al Quirinale per confermare al presidente Mattarella il raggiungimento dell’accordo.
Un’intesa che sancisce la fine della coalizione di centrodestra. Almeno è questo che ieri ha detto Silvio Berlusconi (anche lui ad Aosta), gridando al «tradimento» e sostenendo che i contenuti del contratto sono in alcuni casi, come la giustizia, in contrapposizione con «i nostri valori fondanti». Berlusconi, in sostanza, preannuncia che Fi si schiererà all’opposizione. «Gli ho consigliato di tornare a casa», ha detto l’ex premier, con riferimento all’ultima telefonata con Salvini, che però a sentire i due staff non sarebbe avvenuta ieri. Di più: Berlusconi ha anticipato di essere pronto a correre per la premiership. Parole che hanno provocato «sconcerto» nel Carroccio, ma anche in Fdi. Salvini ha preferito non rispondere. Anche perché il Cavaliere ha ribadito che le alleanze locali restano in piedi e in serata ha stemperato i toni, garantendo il sostegno ai provvedimenti «positivi» del futuro esecutivo.
Ma proprio lo scontro tra il leader di Fi e la Lega è la conferma che ormai si dà per scontata la nascita del governo giallo-verde. Manca ancora un dettaglio non da poco, su cui tra telefonate, incontri mai confermati (domani Di Maio e Salvini dovrebbero rivedersi) e depistaggi rimane un punto interrogativo: chi sarà il premier? Di Maio non rinuncia alla sua candidatura, anche se ieri ha ricordato di essere pronto, in caso di necessità, a fare un passo indietro. Una mossa utile anche a Salvini per ottenere un largo consenso al referendum sul contratto. Ma c’è chi sostiene che si tratti di un bluff. E che in realtà il leader pentastellato confidi nell’“alleanza” in extremis del Colle: un governo guidato dal capo politico del principale partito assume un peso decisamente maggiore rispetto a soluzioni inevitabilmente di ripiego. Ma visto che in ogni caso la premiership sarà pentastellata Salvini sarà ministro dell’Interno e probabilmente vicepremier. Altra casella fondamentale è il ministero dell’Economia, dove torna in pista il leghista Giancarlo Giorgetti che in alternativa è dato anche a Palazzo Chigi come sottosegretario. Scontato il Welfare al M5S e molto probabili Sanità e Sviluppo economico, dove potrebbe approdare lo stesso Di Maio se non sarà premier. Per Esteri e Difesa invece sarà determinante il confronto con il Colle. Ma anche l’eventuale disponibilità a entrare nell’esecutivo di Giorgia Meloni: «Fdi vuole capire se questo governo sia una sfida da raccogliere ».
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