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L’una tantum della pace fiscale non «copre» la flat tax

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L'Analisi|L’Analisi

L’una tantum della pace fiscale non «copre» la flat tax

Se l’operazione flat tax a due aliquote costerà a regime, come si stima, attorno ai 50 miliardi occorreranno coperture pluriennali certe e strutturali. Tra queste si annovera certamente la spending review e il capitolo dei “tagli agli sprechi”, fatte salve le incognite su quanto sarà possibile risparmiare, visti i risultati non risolutivi conseguiti finora. Non vi rientrano, a una prima ricognizione, le maggiori entrate che il “contratto” di governo ascrive alla cosiddetta pace fiscale. Se – come pare evidente alla luce delle scarne indicazioni del “contratto” – si tratterà di una sorta di condono con un maggior gettito stimato in circa 35 miliardi, occorrerà fare i conti con le regole di finanza pubblica e le prescrizioni europee. Che non ammettono le entrate “one off” a copertura di maggiori spese o minori entrate dal carattere strutturale e permanente. Le una tantum non concorrono alla riduzione del deficit strutturale, il parametro chiave cui guarda l’attuale disciplina di bilancio europea. Ne consegue che servirà una preventiva trattativa con Bruxelles per stabilire l’esatta natura di questa ingente mole di nuove entrate. Incognite anche sull’incremento del Pil, effetto sperato della flat tax. Il problema è che potrà essere quantificato ex ante solo con un ampio margine di approssimazione, e dunque anche in questo caso si tratterebbe di una copertura incerta. Strada in salita anche per l’altra fonte di copertura espressamente evocata dal “contratto”, vale a dire “un appropriato ricorso al deficit”. Si potrà provare a spuntare nel confronto con la Commissione Ue un nuovo target (1,5%-1,7%) per quel che riguarda il deficit del 2019, ora indicato allo 0,8%, finanziando in tal modo in tutto o in parte la sterilizzazione delle clausole Iva per 12,4 miliardi. Ben difficilmente si potrà ottenere un ulteriore “sconto” per finanziare gli interventi fiscali in agenda, tenendo altresì conto dei circa 5 miliardi l’anno di costo preventivato dal “superamento” della legge Fornero e dei 17 miliardi a regime previsti dal reddito di cittadinanza variamente declinato. Al contrario, in primis il nuovo governo dovrà attrezzarsi a far fronte alla richiesta di una correzione dei conti da effettuare in autunno per lo 0,3% del Pil (5 miliardi). Domani, soprattutto in considerazione della complessa congiuntura politica in cui si trova il nostro paese, peraltro nel pieno della formazione del nuovo governo, la Commissione Ue dovrebbe limitarsi nelle sue raccomandazioni a indicare il rispetto dei target di finanza pubblica e dunque anche dell’ulteriore sforzo richiesto per ridurre il deficit strutturale. Per poi rinviare il giudizio finale in autunno o alla prossima primavera. Partita complessa, soprattutto se ci si presenterà al tavolo delle trattative con atteggiamenti di rottura o dichiaratamente anti-regole europee. Non si potrà invocare nuova flessibilità, via clausole su riforme, investimenti, eventi eccezionali e emergenza sicurezza, poiché dal 2015 al 2018 ne è già stata concessa per circa 30 miliardi. Il prossimo “giro” scatterà per noi solo una volta raggiunto il pareggio di bilancio. Vincolo costituzionale quello dell’”equilibrio di bilancio”, che ora la coalizione giallo-verde vorrebbe rivedere, al pari del Fiscal Compact. In conclusione, nello slalom tra vincoli di copertura e regole europee, quello che attende il prossimo governo è un percorso a ostacoli. E si può prevedere fin d’ora la massima vigilanza del Quirinale, della Ragioneria, della Corte dei Conti e degli altri organi preposti al giudizio ex ante e ex post delle coperture che verranno predisposte a partire dalla prossima legge di Bilancio.

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