La (molto relativa) tranquillità attuale dei mercati nei confronti dell'Italia trova fondamento non solo nel fatto che sono “narcotizzati” dalla politica monetaria espansiva della Bce, ma nel fatto che l'economia cresce: se Europa e Italia rallentassero fino a finire in recessione – magari per uno shock come una guerra dei dazi – allora sarebbe facilitato il ritorno di una crisi di fiducia in un Paese in cui il rapporto tra Pil e indebitamento riprenderebbe a impennarsi.
A sottolineare che non va data per scontata la “tregua” sui mercati finanziari verso l'Italia è Carlo Cottarelli, l’uomo convocato al Quirinale da Sergio Mattarella dopo il fallimento del tentativo di far nascere un governo M5S-Lega. Secondo il direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica, ogni futuribile governo dovrebbe quindi approfittare della congiuntura relativamente positiva – tra crescita, anche se poco esaltante, e tassi bassi – per cominciare ad aggiustare i conti pubblici; altrimenti, non appena la crescita si dovesse interrompere, il Paese finirebbe sotto attacco e con tutta probabilità sarebbe costretto a fare sacrifici in un contesto estremamente sfavorevole.
Cottarelli non fa che ribadire le sue idee di fondo, maturate non solo in ambito accademico ma come alto dirigente dell'Fmi o nelle sfide (perdute) come commissario straordinario alla spending review; idee di recente approfondite nel ruolo di direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica. «Sarei orgoglioso di servire il mio Paese. Il problema è: per fare che cosa? Non per creare più debito», ha detto nei giorni scorsi a margine di un incontro - organizzato a Milano da The Adam Smith Society e moderato da Alessandro De Nicola - per discutere del suo ultimo libro, “I 7 peccati capitali dell'economia italiana” con il direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili e con quello de La Stampa Maurizio Molinari.
Il primo e forse più grave peccato, secondo Cottarelli, è l'inaccettabile livello di evasione fiscale, a partire da quella dell'Iva, stimata intorno al 26-27% contro una media dell'11% nell'Unione.
La seconda voce è la corruzione: si è fatto qualche progresso in materia, ma le classifiche internazionali ci pongono, in termini di percezione, al 50esimo posto, alle spalle di tutti i Paesi avanzati: per Cottarelli, al di là del problema morale, si tratta di un problema sia per i conti pubblici sia per una sana concorrenza.
Segue la lentezza e farraginosità della burocrazia, che si accoppia con la lentezza della giustizia. Cottarelli sottolinea anche il crollo demografico e il divario tra Sud e Centro-Nord tra gli elementi penalizzanti per il nostro Paese. Tutti problemi che - ha evocato Gentili - non appaiono molto in alto nell'ordine del giorno delle trattative politiche di questi giorni, dove sembra prevalere una sottovalutazione dei problemi reali del Paese e tentazioni di fuga dalla realtà, forse anche a causa di una passata “narrazione” dell'Europa come risolutrice di ogni problema, poi trasformata invece in una sorta di capro espiatorio da euroscetticismi e sovranismi di moda.
In effetti, per Cottarelli il settimo peccato è la nostra difficoltà a convivere con l'euro, dopo che nel primo decennio dalla sua introduzione è continuata la crescita del costo del lavoro (e della produzione) in esatta contrapposizone a quanto accadeva in Germania. Abbiamo perso molto tempo e sarebbe ingiusto ignorare che le regole europee sono state ammorbidite per darci più spazio di manovra. Uscire dall'euro sarebbe costosissimo. Esistono alternative? Sì, risponde Cottarelli, e in parte stiamo già percorrendo la strada giusta. Si tratta di consolidarla, senza affidarsi a vaghe speranze per la copertura di misure molto onerose come la flat tax (64 miliardi, al 23%) o il reddito di cittadinanza (15 miliardi in versione morbida).
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