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La sfida del Colle: populisti nei ranghi

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Il nuovo scenario

La sfida del Colle: populisti nei ranghi

(Ansa)
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La prima sfida è vinta. Portare i due leader “populisti” a misurarsi con la realtà del Governo e dentro i ranghi costituzionali del rispetto dell’Ue e delle prerogative del Colle. Ma ora si apre il vero sipario.

E guarda verso quella che Mario Draghi chiamerebbe «terra incognita» perché mai, finora, in Europa sono al Governo due forze anti-sistema, che si sono combattute in campagna elettorale per ritrovarsi all'indomani di un voto che li ha battezzati come i vincitori. Ecco, in questa terra incognita si ritroverà anche Sergio Mattarella in un ruolo non secondario se le scene vissute all'inizio di questo “film” sulla nascita del Governo verranno replicate. Parliamo delle ragioni per cui solo qualche giorno fa tutto era tornato in alto mare con uno strappo tale tra partiti e Colle da far evocare l'impeachment da Di Maio, anche se abbandonato con una repentina marcia indietro. Motivi che attengono alle prerogative presidenziali sulla scelta dei ministri - che il capo dello Stato lascia intatte al suo successore - e al rispetto dei vincoli e degli accordi europei, ormai costituzionalizzati. È quel «no» a Paolo Savona all'Economia, la prima vittoria di Mattarella per ciò che evocava, per quel piano B di uscita dall'euro che lo rendeva incompatibile con gli indirizzi costituzionali.

Una vittoria non sulla persona ma sui principi che aveva ripetuto ai due leader, ieri rientrati in quei “ranghi” costituzionali di rispetto delle reciproche funzioni accettando lo spostamento di Savona a un'altra casella, meno esposta del Mef. Adesso, a giudizio del Colle, c'è un giusto equilibrio nella squadra tra il perseguire gli interessi nazionali e l'osservanza ai patti europei.E dunque questo è stato il primo vero terreno di scontro: Europa e prerogative presidenziali. Si riproporrà dopo la nascita del Governo? Al Quirinale nessuno si illude e si aspettano i primi provvedimenti, le politiche che verrano messe in campo ma certo un segnale chiaro è già arrivato. Che la pazienza usata da Mattarella in questi tre mesi, diretta ad assecondare i processi, a far maturare l'incontro di due forze che erano avversarie in campagna elettorale, non vuol dire subalternità. Si vedrà poi dove porterà la navigazione di due leader abituati all'opposizione ora che si misureranno con la realtà del Governo e con un Quirinale con cui hanno avuto - in modi e momenti diversi - un rapporto un po' ruvido anche se ricomposto.Da parte del capo dello Stato, la nascita di un Governo politico - e l'archiviazione dell'Esecutivo tecnico - è quello che si considera il vero risultato. Per varie ragioni, tutte ritenute importanti. Innanzitutto perché rispetta il voto degli elettori che hanno premiato 5 Stelle e Lega e inoltre perché l'alleanza grillo-leghista era ed è l'unica maggioranza emersa in Parlamento.

Altra ragione non banale è quella che riguarda la tenuta finanziaria del Paese. Solo un Governo politico, con la fiducia delle Camere, è in grado di sostenere e far fronte a eventuali crisi finanziarie. Un assaggio si è visto nei giorni scorsi, con la prima altalena dello spread e dei mercati: certo non un Governo tecnico sfiduciato avrebbe potuto affrontare la bufera, tantomeno con nuove elezioni imminenti e gli stessi “populisti” candidati a vincere. Il passaggio sulla «buona soluzione» di un Esecutivo politico si è ascoltata anche dalle parole di Carlo Cottarelli nel suo congedo, e il senso è che serve un Governo nel pieno delle sue funzioni per affrontare il mare aperto che ci aspetta.
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