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Iva e deficit, gli addendi della prossima manovra

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l’analisi

Iva e deficit, gli addendi della prossima manovra

È una manovra a geometria variabile, quella che attende il neonato governo Conte da qui alla legge di Bilancio di metà ottobre. Gli addendi sono da comporre all’interno di un puzzle che al momento, tra clausole Iva da disattivare per 12,4 miliardi, spese indifferibili da finanziare (circa 4 miliardi) e correzione del deficit (10 miliardi), parte da una base di 25 miliardi. Ma potrebbe lievitare fino a 40 miliardi qualora si decidesse di cominciare a onorare alcune delle promesse elettorali, confermate nel “Contratto di programma”.

Partiamo dall’Iva. Finora tutte le forze politiche si sono dichiarate a favore della sterilizzazione degli aumenti che scatteranno dal prossimo anno, con l’Iva che passerebbe dal 10 al 12% e dal 22 al 24,2 per cento. Ipotesi alternativa, che potrebbe fare breccia nel governo anche sulla base delle sollecitazioni giunte sia dalla Banca d'Italia che dalla Commissione Ue, è che si possa aumentare l'aliquota ordinaria di un punto, aprendo in tal modo lo spazio (attorno ai 4 miliardi) per finanziare il primo “modulo” della flat tax. Per la copertura delle clausole Iva, anche qui due strade: avviare subito un confronto con Bruxelles per spuntare una qualche flessibilità, nel margine che si creerebbe tra l’obiettivo di deficit tendenziale 2019 (a politiche invariate) fissato attualmente allo 0,8% del Pil e il nuovo target programmatico che potrebbe attestarsi attorno all’1,5-1,6 per cento. L’altra strada sarebbe spingere comunque il deficit anche oltre l’asticella del 2%, senza preventivo confronto con Bruxelles. Opzione possibile che però ci esporrebbe al rischio di una procedura per disavanzo eccessivo originato dal mancato rispetto della “regola del debito”, e del nuovo rinvio dell’obiettivo di medio termine (il pareggio di bilancio in termini strutturali). Il problema è che il confronto con Bruxelles è necessario e urgente, perché sulla carta (stando alle ultime raccomandazioni della Commissione Ue), il governo dovrà ridurre il deficit strutturale dello 0,6% del Pil (10 miliardi). Cui dovrebbero aggiungersi i 5 miliardi della correzione 2018. Il confronto dovrà attivarsi sul piano politico e si potranno ottenere risultati tangibili solo se in fase di trattativa si metteranno in campo argomenti solidi, sostenuti da credibilità e autorevolezza.

Le regole di bilancio si possono anche “forzare”, ma non si potrà deflettere dal fondamentale impegno a ridurre il debito, non certo ad accrescerlo così da onorare per questa via le promesse elettorali. Già perché l'asticella della prossima manovra potrà salire in misura progressiva a seconda di quale delle priorità del “contratto” si comincerà a mettere in campo. Ma le relative coperture dovranno essere solide e strutturali, a prova di mercati e delle agenzie di rating, dal cui giudizio dipende la nostra capacità di finanziare il debito senza scossoni, come abbiamo appena verificato con l’impennata dello spread.

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